Cinecittà è già di per sé un titolo ghiotto, specie se è un musical che vanta Christian De Sica quale one-man show. Appassionata del genere, ero curiosa di capire quanto realmente poliedrico ma soprattutto empatico sapesse essere questo instancabile attore. Primi passi da solo sul proscenio del Teatro Arcimboldi di Milano per guidarci in un piacevole ed a tratti malinconico viaggio alla scoperta del colosso italiano della cinematografia. De Sica racconta e si racconta in una mise elegante senza abbandonare quel lato burlesco da romanaccio, che lo avvicina al pubblico ed al suo vissuto. Lo fa fra citazioni e memorie personali, piacevoli aneddoti che sono anche inediti retroscena dei film che segnarono l’epoca di maestosa imponenza di questa grande azienda del cinema nostrano, di questa fabbrica dei sogni che ha ispirato tutto il mondo, una fabbrica fatta di eccellenti maestranze e di artisti geniali come per citarne uno soltanto, Federico Fellini. Escursioni fra sacro e profano, tra artisti leggendari e vissuti quotidiani, De Sica cambia registro senza annoiare in un parallelismo fra storia personale e storia della settima arte più autentica. Autenticità qui intesa dal profilo delle emozioni, facendo trasparire la passione quale motore della vera recitazione. De Sica a tal proposito rincara la dose svelando come il cinema, nel suo moto di creatività, faccia o abbia fatto proprie nuove idee e nuovi modi per ambire a fini altri, umani e sociali, facendosi attore sociale tangibile. Commuove, infatti, quando svela la storia della pellicola La porta del cielo girata in Vaticano durante la Seconda guerra mondiale, grazie alla quale si salvarono oltre trecento fra ebrei e perseguitati, scritturati a tale scopo proprio dal padre Vittorio.
De Sica alleggerisce poi il tutto condendolo insieme alla bravura di Daniela Terreri, Daniele Antonini e Alessio Schiavo, offrendo divertenti gag sul mondo dei provini, sulle svariate personalità degli attori in erba, ad inframmezzare i suoi monologhi sempre ben integrati nelle varie scene. Riesce persino a farmi piacere le citazioni sui cinepanettoni, senza annoiarmi e di certo mi trascina nei più trasognati ricordi del brillante varietà cantando dal vivo canzoni indimenticabili, fra le quali pecco nel citare solo una Baciami piccina, a me tanto cara. Ed è proprio il De Sica cantante-attore-intrattenitore che rende sfavillante l’artista facendolo luccicare di quella verve che solo la passione muove e che il pubblico fiuta a distanza. Qui non posso sottrarmi dall’applaudire anche le coreografie del corpo di ballo, pregne dell’inconfondibile genio di Franco Miseria, attento nel misurare autentici passi senza peccare di fedeltà alle varie epoche musicali affrontate.
Lo spettacolo procede cambiando più volte ritmi e generi e forse il più grande plauso è nell’attenta orchestrazione del tutto che si lega senza iperboli azzardate, conducendo lo spettatore al passo con le sue emozioni, uniformandone l’età anagrafica in un format senza tempo. Personalmente ritengo che solo un De Sica ed un Miseria possano portare in scena un musical che possa dirsi italiano senza snaturarne il genere per trovarne piacevolmente ritagliate sopra le migliori doti professionali di entrambi a far rinverdire di sogni anche l’autostima di chi ammira. Non mi delude nemmeno quando, sul finire, proprio nel momento in cui avevo perso le speranze di riascoltarmi il Christian De Sica di New York, New York, la canzone ci viene regalata a sorpresa (per me una vera ciliegina sulla torta): impagabile la simultanea interpretazione che ne ha fatto il mio compagno dal posto al mio fianco. L’arte e la musica, insieme ai grandi artisti, assolvono proprio a questo: ha ragione De Sica quando li cita come ingredienti succulenti di magiche atmosfere.
Fotografie di Angelo Redaelli
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