Ormai è evidente che la civiltà contemporanea è dominata dalla produzione dell’artificiale e dalla moltiplicazione dei media. Ma se allora stiamo parlando della “fine del mondo vero” in cui l’orizzonte dell’immaginario si mescola con il virtuale cosa e chi meglio del cinema può interpretare la funzione dell’immagine e della produzione del visibile nella costruzione di quella che noi ci ostiniamo a chiamare realtà?
L’immagine filmica è il prodotto di una messa in scena, è legata quindi all’apparenza. È il risultato di simulazione, illusioni e inganni. Se molto probabilmente non c’è verità nel nostro mondo è ovvio che l’immagine filmica non ha una valenza ontologica ma è (anch’essa) un’immagine interpretativa, svincolata dalla realtà, ingannevole.
L’immagine filmica appare come realtà e si rivela invece come simulacro, è una macchina produttiva di significazione e che interpreta il mondo. È opportuno sottolineare la differenza che il professore Paolo Bertetto nel suo libro Lo specchio e il simulacro propone sul concetto di mascheramento e smascheramento. Egli sostiene che l’immagine filmica maschera, si maschera e che soprattutto si smaschera. Si maschera cioè nasconde la propria struttura proponendosi come “realtà”, e lo smascheramento – che Bertetto preferisce chiamare autosmascheramento – è la demistificazione del dispositivo e della messa in scena cioè è quel processo che produce un’interpretazione che decodifica. Questa duplicità propone uno spettatore che percepisce il film sia come finzione sia come realtà.
Il cinema, come scrive il filosofo francese Deleuze, riesce a “comunicare alla corteccia delle vibrazioni, (a) toccare direttamente il sistema nervoso e cerebrale” . Deleuze individua tre possibili rapporti tra cinema e pensiero:
- rapporto con un tutto pensabile soltanto in una presa di coscienza superiore – pensiero critico
- rapporto con un pensiero raffigurabile soltanto nello svolgimento subconscio delle immagini – pensiero ipnotico
- rapporto senso-motorio tra il mondo e l’uomo, la natura e il pensiero – pensiero-azione.
Attraverso il cinema e le sue immagini si allargano le modalità del pensiero. Il cinema non è un mezzo di distrazione o di svago (anche se per troppe persone lo è) ma un mero strumento didattico di interpretazione del mondo. Già nel 1936, dopo l’avvento del sonoro, Walter Benjamin scrive L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica in cui sostiene che la nuova arte di massa (il cinema) può essere un grande mezzo di democratizzazione della cultura, rendendo accessibile a tutti il mondo dell’arte. Ovviamente considerando l’anno in cui ciò accadeva, da “marxista” Benjamin vedeva nel cinema il mezzo di democratizzazione della cultura, un mezzo rivolto alla massa contrapponendosi alla concezione aristocratica dell’arte.
Ma il cinema, come abbiamo detto, può essere qualcosa di più: percezione, interpretazione.
In un’intervista rilasciata nel 2003 sul sito frameonline.it alla domanda: come definirebbe il rapporto tra la filologia e le altre metodologie analitico interpretative, il professor Bertetto rispose:
“(…)Io ritengo che la filmologia, la ricerca documentaria possa talvolta fornire una serie di informazioni significative sul testo. Ma tutto l’apparato informativo deve poi naturalmente confluire nell’ambito di un ulteriore processo interpretativo: altrimenti la ricerca filologica rischia di esaurirsi in se stessa (…)”.
A quanto pare come nella realtà di Baudrillard anche nei film non può esserci una verità oggettiva possibile, ma solo punti di vista, interpretazioni soggettive. Prendiamo il film Citizen Kane (1941) di Orson Welles.
Nel film si vien
e a creare una ricerca sull’identità e personalità di Kane per indagare sul significato dell’ultima parola pronunciata prima della sua morte: Rosebud. Nell’inchiesta Kane appare come un imprenditore, come un egoista, come un anticonformista poi un egocentrico, cioè si registrano differenti interpretazioni soggettive sul suo conto. Non c’è nessuna verità oggettiva.In fondo già l’immagine iniziale del film presenta uno dei concetti fondamentali del film: sul cartello davanti
all’entrata del castello c’è scritto “No Trespassing” : non si può entrare all’interno, non si può penetrare nel mondo e quindi nella soggettività di una persona .
Nonostante le tante analogie che potremmo ritrovare tra il mondo e l’immagine filmica, ovviamente ci sono aspetti di differenziazioni soprattutto se parliamo di caratteri strutturali.
La differenza delle immagini filmiche rispetto al mondo richiamano i seguenti caratteri:
- proiezioni di solidi su una superficie piana;
- riduzione della profondità;
- illuminazione particolare e assenza di colore (quest’ultimo smentito ovviamente dal cinema posteriore);
- limiti dell’immagine e distanza dell’oggetto;
- assenza di continuità di spazio e di tempo;
- assenza del mondo non visivo dei sensi ( in parte smentito per l’avvento del sonoro) .
L’immagine filmica non è tangibile, è il risultato di illusioni tecniche-visive. L’immagine filmica è un’immagine simulacro.
Valentina Leone