Con “C’est eux les chiens” il regista marocchino Hicham Lastri ,con ottimo mestiere, racconta la storia personale, che s’intreccia con la “grande “ storia, di un uomo, un certo Majhoul, il quale nel lontano (ma non troppo) 1981 è imprigionato per essere tra i partecipanti, durante gli anni di piombo del Marocco, allo sciopero generale causato da un aumento improvviso del prezzo del pane e di tutti quelli che sono i generi di prima necessità.
La risposta alla sollevazione popolare da parte di re Hassan II, all’epoca fu soltanto una terribile e spietata repressione, che molti ancora ricordano, con centinaia di morti, cinquemila arresti sommari, tra cui quello di Majhoul, e moltissime detenzioni senza processo.
Quando Majhoul, scontata la sua pena di trent’anni, nel 2011 è finalmente libero, il disorientamento della sua persona, in piena primavera araba, è inevitabile e totale.
Intanto le dure condizioni carcerarie gli hanno cancellato ogni memoria del “suo” passato, che con grande fatica egli cerca però, sforzandosi, di ricostruire a brandelli. E che per altro, quando poi lentamente emerge, è decisamente poco gratificante.
Nel mentre l’uomo brancola a fatica nei percorsi della nuova esistenza, che gli tocca comunque affrontare, accade che s’imbatta casualmente in una troupe televisiva, della televisione di Stato, che gli chiede di raccontare al pubblico degli spettatori, tramite una inchiesta- reportage, la propria vicenda.
Passato e presente. Tutto incluso.
Questo significa per Majhoul (ed è un’ottima opportunità ) impegnarsi,aiutato dai membri della troupe televisiva (un giornalista, un operatore e uno stagista), a ritrovare certamente il “passato” nebuloso ma, al contempo, in particolare la propria odierna identità.
Ritrovare insomma, ad esempio, quel poco o molto che è rimasto della sua famiglia.
Il film di Hicham Lastri, che è stato apprezzato e dalla critica e dal pubblico nello scorso festival di Cannes (15-26 maggio), propone nel complesso una scelta estetica parecchio interessante e di buon gusto, a partire dall’utilizzo di materiale documentario filmico d’archivio, fin in apertura della narrazione, e in specie per l’interpretazione magistrale de noto attore di teatro Hassan Hadida, che indossa i “panni” di un Majhoul ai nostri giorni.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)