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Cinema - "Dheepan" (Recensione di Angela Laugier

Creato il 08 novembre 2015 da Tafanus

DheepanRecensione del film "DHEEPAN – UNA NUOVA VITA" (di Angela Laugier)

Titolo originale: Dheepan

Regia: Jacques Audiard

Principali interpreti: Vincent Rottiers, Marc Zinga, Jesuthasan Antonythasan, Kalieaswari Srinivasan, Franck Falise, Claudine Vinasithamby – 109 min. – Francia 2015.

Dheepan è un guerriero Tamil dello Sri Lanka che, per effetto della terribile guerra civile nel suo disgraziato paese, ha perso tutto e che, ora che ha salvato la pelle, è nel campo di raccolta dei profughi gestito da un’organizzazione umanitaria, che aiuta come può chi è rimasto come lui senza casa, senza famiglia, senza amici. Di lì egli vorrebbe andarsene velocemente, il più lontano possibile, per non essere risucchiato dalla spirale di odio e di vendetta feroce in cui era incappato anche per effetto delle proprie scelte irriflessive. Il problema è che spetta alle famiglie con figli la precedenza per le migrazioni regolari verso la Francia organizzate con cura dai volontari del campo e che, purtroppo, la famiglia di Dheepan non esiste più: per questo egli decide di metterne insieme una, casualmente, accordandosi con una giovane donna, Yalini, mai vista prima, anche lei desiderosa di andarsene presto e accettando anche Illayal, una bimba di soli nove anni, portata a lui dalla zia che l’ha accolta alla morte dei genitori, ma che non può occuparsi di lei. A Dheepan sarà abbastanza facile impadronirsi dei documenti (falsi) occorrenti per l’espatrio: gli basta frugare fra  gli abiti delle persone morte, accatastati ai margini del campo: per lui, come per tutti, emigrare significa anche rinunciare a sé e al proprio passato.

La destinazione della finta famiglia è un alloggio malandato nella banlieu parigina di Pré, località di brutti e anonimi casermoni, dove, almeno, finalmente, scorre acqua potabile, come osserva subito la piccola Illayal, quando vede con una certa preoccupazione Yalini bere al rubinetto della cucina!

Il lavoro da custode che Dheepan ottiene subito, insieme a quello da badante per Yalini, in un caseggiato proprio di fronte, sembrano costituire la premessa per una vita finalmente tranquilla per tutti e tre: la bambina, che non può lavorare, andrà a scuola, come prevede la legge francese.

Non tutto fila liscio, però, perché subito emergono tensioni e malumori all’interno e all’esterno del gruppo familiare: il ruolo materno non si addice a Yalini, che è assai giovane, non vuole occuparsi della piccola e tenta di andarsene, per raggiungere la sua famiglia vera, che si è sistemata in territorio britannico, incurante del fatto che in tal modo metterebbe nei guai Dheepan e Illayal, alla quale, invece, non vengono risparmiate le battute razziste fra i banchi della scuola.

Ciò che maggiormente impensierisce Dheepan, però, è la strana atmosfera che si respira nella periferia di Pré, dove brutti ceffi vanno e vengono nel casermone di fronte al suo, di giorno e di notte, e si introducono anche in un alloggio vicino al suo; né gli piace il loro parlare violento e sguaiatamente provocatorio, il loro fastidio per la sua attenta sorveglianza, che egli continua a svolgere perché anche per questo è pagato. Si tratta di gente legata a loschi traffici, forse di armi, forse di droga, forse di entrambe le cose, che sta mobilitandosi per una resa dei conti fra bande rivali: la guerra che esploderà di lì a poco non è meno feroce di quella abbandonata nello Sri Lanka, nel fuoco della quale egli aveva maturato la propria umana consapevolezza. Questa nuova guerra, descritta in modo un po’ hollywoodiano nella seconda parte del film, è funzionale, nella narrazione complessiva, alla presa di coscienza di Yalini, che ne uscirà finalmente decisa a chiarire quale senso vuol dare alla propria vita e con chi sia disposta a condividerla.

La Palma d’oro ottenuta da questo film all’ultimo Festival di Cannes ha scontentato molta parte della critica soprattutto in Francia e ha poco convinto molti spettatori. Personalmente, pur ritenendolo un film non sempre all’altezza dei precedenti Il profeta e Un sapore di ruggine e ossa, ritengo che si tratti di un film assai convincente, con una prima parte, che descrive anche attraverso immagini potentemente simboliche il lungo processo di ripudio della violenza da parte del protagonista, che, dopo aver bruciato, nel rogo degli abiti, tutto il proprio passato, di cui nulla intende salvare, arriva a Parigi completamente cambiato, quasi avesse ritrovato la propria innocenza, dimenticando il fanatico guerriero Tamil che era stato. Anche Yalini si misurerà con la violenza della società urbana, per trovare finalmente se stessa, e per comprendere il dolore altrui che le era stato totalmente estraneo. A ben riflettere, però, l’esperienza del dolore e della violenza è decisiva per gli “eroi” di tutti i film di Audiard, che, da questo punto di vista, presentano molte analogie con i protagonisti di questa vicenda. Il regista, che sempre aveva narrato le proprie storie attraverso immagini densamente metaforiche, ci propone, anche questa volta, in un finale catartico e favolistico forse un po’ melenso, l ‘avvenuta riconciliazione dei personaggi con la loro natura più profonda, ricomponendo un’armonia che sembrava essersi spezzata irreparabilmente. Che, poi, questo finale venga collocato nell’ Eden incantato di una villa inglese, ideale per far crescere serenamente tanti bambini, mi pare un’ingenuità che in parte spiega l’atteggiamento di molti critici d’oltralpe, soprattutto tenendo conto di un certo sciovinismo neppure troppo celato! Da vedere, per poter giudicare e magari dissentire con cognizione di causa.

Angela Laugier


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