E' uno dei massimi registi sperimentali del Novecento, direi che Chris Marker si merita questa definizione. Occhio sveglio e coscienza lucida fin dai tempi delle lezioni di Sartre e delle avventure fotografiche di Cartier-Bresson, con il quale dopo tutto condivide l'amore per l'istante e per i viaggi, Marker ha ottenuto un certo riconoscimento pubblico con il cortometraggio La jetée (1962), diventato presto famoso e citatissimo nei manuali di cinema quanto sulle riviste specializzate, sia per l'inconsueto metodo di "ripresa" (non c'è nessuna ripresa cinematografica in senso stretto) sia per aver ispirato il film di Terry Gilliam L'esercito delle 12 scimmie. Perché La jetée intriga e stupisce? Perché pur essendo realizzato soltanto con una serie di immagini fisse e la voce fuori campo riesce a coinvolgere gli spettatori in una vicenda di esperimenti scientifici e di aberrazioni ai confini del tempo, come una sorta di graphic novel, grazie più che altro al talento letterario del regista. Al di là di tanti discorsi critici o magari metafisici si potrebbe dire che quello di Marker è il tipico esempio di grande arte visiva che sconfessa l'idea, tipica dei letterati, che il cinema sia incapace di raccontare come la letteratura...Nel cinema di Chris Marker, invece, le parole sono fondamentali e l'origine letteraria del suo universo visivo, della sua immaginazione al lavoro è difficilmente contestabile. Un'altra derivazione importante, l'antropologia. E la storia, se dobbiamo dare retta a quanto ci suggerisce la sua lunga e intensa videografia (a cominciare da quel Les statues meurent aussi, accanto al regista Alain Resnais che deve aver fatto scuola). Chris Marker una sorta di fine "scrittore per immagini"? Provare per credere: prendete questo bel cofanetto edito dalla mai troppo elogiata RHV (Ripley's Home Video) e guardate i tre film di Marker: oltre a La jetée ci sono Sans soleil (1982) e Level Five (1997). Non c'è quasi una sola immagine che non comunichi con la parola, con la vita delle parole- pensate, pronunciate con cura e concentrazione- oltre che con i corpi. Se Sans soleil è un documentario - diciamo meglio, una docufiction- sulla vita dei giapponesi alle soglie del boom economico, Level Five partecipa di più discorsi, di più livelli di cui il mondo dei videogiochi è soltanto l'involucro apparente. Forse in quest'ultimo caso il gioco mostra un pò la corda, ma il più delle volte Marker sa davvero trasformare l'inanimato in un'immagine vivente e misteriosa, e questo è tutto ciò che un buon videomaker deve saper fare. Sul sito della rivista Close-up una buona recensione del DVD. Diversi anni fa ho potuto vedere un film di Marker intitolato Le Tombeau d'Alexandre (1992). Ero rimasto colpito dalla ricostruzione minuziosa ma anche dalla forza visionaria del lavoro di Marker, che non si limita mai a documentare, semplicemente, i fatti ma li raffina e li contempla fino a farteli sentire. Tra le tante possibilità di lettura, di riflessione e di spunti teorici (perché no, anche filosofici) ne seleziono una d'eccezione: un articolo della rivista canadese Senses of cinema sul capolavoro di Marker, quel viaggio nello spazio dell'immagine da dove nasce tutto e nel quale veniamo "gettati" (jetée!), come avrebbe detto Heidegger.
Pubblicato da Remy71 | Commenti (6) Tag: cinema, sogni, arte, artisti, chris markerMagazine Cultura
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