A LADY IN PARIS - Titolo originale : Une Estonienne à Paris
Regia: Ilmar Raag
Principali interpreti: Jeanne Moreau, Laine Mägi, Patrick Pineau, Corentin Lobet, Ita Ever - 94 min. – Francia, Belgio, Estonia2012. – Officine Ubu uscita giovedì 16 maggio 2013.
(Recensione di Angela Laugier)
Frida (Jeanne Moreau) è a Parigi da tanti di quegli anni, che non ricorda neppure una parola della sua lingua, l’estone, né apprezza più il cibo della sua terra, né sente alcun bisogno di vedere i connazionali. Si sente una parigina a tutti gli effetti e ama ciò che amano i “veri” parigini: l’eleganza del vestire, i buoni profumi, i bei gioielli vistosi, i croissant appena sfornati, fragrante e caldo accompagnamento della prima colazione. Ama, però, soprattutto, il modo libero e spregiudicato di vivere, seguendo esclusivamente i suggerimenti del proprio cuore, dei propri sensi e della propria intelligenza. Ora è una signora molto avanti negli anni, che cerca di nascondere il venir meno delle forze e la disperazione dell’invecchiare dietro un comportamento altero e sprezzante, quasi volesse allontanare da sé anche chi le aveva voluto bene in passato, come Stéphane (Patrick Pineau), il suo ultimo amante, molto più giovane, che, finito il tempo dell’amore, le è ancora molto legato. Anne (Laine Mägi), invece, è una donna di mezz’età: vive in Estonia, dove ha lavorato in un ospedale per anziani, abbandonato nel momento in cui la malattia della madre ne aveva reso necessario l’accudimento.
Divorziata da un bel po’, Anne ha due figli che le vogliono bene e che vivono lontani da lei: qualche telefonata, qualche raro incontro; alla morte del’anziana madre le resta soltanto la solitudine, unita al desiderio di tornare a lavorare, magari ancora per occuparsi di vecchietti. Del tutto inattesa giunge la telefonata dell’agenzia che la invita a spostarsi a Parigi: lì dovrebbe occuparsi di Frida, almeno secondo gli intenti di Stéphane, che vorrebbe risolvere il problema di aver cura di lei, tenendosi lontano dai suoi capricci e dalle sue scenate: le seccature che avevano già fatto scappare molte altre badanti. Saprà cavarsela Anne?
La bellezza del film non è soltanto nel racconto delicato e pudico di questa piccola vicenda, fatta di sguardi, di solitudine, di dolore rattenuto o di scatti d’ira fuori luogo: è soprattutto nell’attenzione che il regista pone al senso dell’invecchiare e alla difficoltà di accettare la vecchiaia propria e altrui. Frida non accetta di essere vecchia e pateticamente cerca di mantenere la verve e il carattere anticonformista e libero del passato, con una buona dose di grottesca cattiveria che nessuno, ora, sembra disposto a perdonarle, neppure la mite e paziente Anne.
Pochi, però, sanno accettare l’invecchiare delle persone che amano o hanno amato: non Stéphane, che preferisce non pensarci troppo, affidando Frida completamente ad Anne, né i figli di Anne, che sono ben contenti della sua partenza per Parigi, quando sarebbe bastata una sola parola per farla rimanere vicino a loro (è una delle scene più dolorose del film): un modo, probabilmente, per allontanare da sé l’incubo del declino e della morte della madre, nonché, in fondo, del destino di tutti. Anne, però, non essendo ancora troppo vecchia, intenderebbe occupare il poco tempo libero a sua disposizione per conoscere la città mitica, sognata in giovinezza, mai conosciuta, tuttavia, perché il lavoro, il matrimonio e i figli avevano assorbito ogni sua energia. Si accontenterà di conoscerla di notte, con le lunghe passeggiate solitarie lungo i boulevards o lungo la Senna, o sostando alla Tour Eiffel, affascinata da quella Parigi da cartolina che è nel suo immaginario, come in quello dei milioni di turisti di ogni parte del mondo.
Qualcuno ha rimproverato, ingiustamente, secondo me, al regista la riproposizione delle solite immagini di Parigi: Anne non è una raffinata intellettuale, è una donna semplice, perciò è, ovviamente, ben lieta di conoscere quelle icone della città che i parigini, di solito, snobbano. Jeanne Moreau, l’indimenticabile protagonista di tanti film che hanno fatto la storia del cinema, dimostra ancora una volta le sue straordinarie qualità interpretative, forse con un po’ di autocompiacimento gigionesco (molto perdonabile). Bravissima anche l’attrice estone che interpreta Anne; nella media e accettabile la recitazione di Stephane. Il regista è un estone di cui poco si sa, se non che ha diretto, prima di questo bel film (che nasce da una coproduzione franco-belga-estone), uno o più episodi di una precedente pellicola, mai arrivata dalle nostre parti. Una convincente prima prova.