Cinema e Psicoterapia: il nuovo setting

Da Elisabettaricco

Sono sempre affascinata dai film americani in cui vi sono attori che impersonano “Terapists” ossia psicoterapeuti o psicoanalisti che con stili personali più o meno ortodossi riescono sempre a dare alla pellicola uno spaccato assolutamente affascinante.

I primi terapisti di cui ho memoria erano quelli dei film di Woody Allen, quella del film “Io e Annie” che dice:” Ecco, voi sembrate una coppia molto felice. Lo siete?
Sì.
Sì! E questo a cosa lo attribuite?
Bèh, io sono superficiale e vuota e non ho mai un’idea e niente di interessante da dire.
Io sono esattamente lo stesso!
Ah! Avete unito le vostre intelligenze!” Semplicemente brillante.

Quello radiofonico di “Radio Days” che dopo aver assistito ad un litigio della coppia,la stessa lo esorta a dire cosa ne pensasse ed egli dice: “ Penso che l’uno meriti l’altro”. Semplicemente illuminante. O quella di “Sex and the city” quando dice che l’unico modo per sapere se lui non tradirà più e lei possa fidarsi di lui è tornare a provarci!. Semplicemente provocatoria ed ottimista. E ancora la giovane e anche un po’ inesperta specializzanda che prende in terapia Adam il protagonista di “50 e 50” che ammalatosi di cancro, fa terapia senza motivazione ma poi è tra le poche persone che ricerca nei momenti più duri della sua chemioterapia. Semplicemente empatica.

Gli esempi potrebbero centinaia tutti toccanti, divertenti e sempre competenti ma rigorosamente ancorati ad un setting che prevedeva una stanza dove si riceve, un lettino, un tempo scandito da un timer, un dialogo frontale o laterale e dialoghi che si snodano in lenti e griglie tipiche dei vari approcci epistemologici e psicoterapeutici. Uno dei primi terapisti un po’ sui generis, che sugli schermi ho conosciuto, ma in grado di guarire con la sua forte emozione è quello di “Will Hunting genio ribelle” . Robin William faceva terapia con Matt Damon seduto su una panchina di un parco, uno affianco all’altro e talora non disdiceva raccontare anche piccoli particolari della sua vita privata. Ma nell’ultimo film che ho visto “Un giorno questo dolore ti sarà utile” tratto dall’omonimo libro di Peter Cameron c’è una nuovissima forma di setting…la seduta di psicoterapia fatta durante una corsa di jogging in Central Park. Naturalmente qualcuno potrebbe obiettare che è un film, che non siamo americani e magari che non abbiamo Central Park. Ma l’accento che mi piacerebbe porre è di carattere diverso. Quanti di noi vivono la psicoterapia in modo libero, sincero e naturale come gli ultimi due protagonisti? Quanti accompagnerebbero il proprio psicoterapeuta in un viaggio o andrebbero a passeggiare?  Quanti di noi credono ancora che la psicoterapia debba essere vissuta in quattro mura. Forse il setting protegge più gli psicoterapeuti che i pazienti.


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