«Quando penso a mia moglie, penso sempre alla sua testa.
Immagino di aprirle quel cranio perfetto e srotolarle il cervello in cerca di risposte alle domande principali di ogni matrimonio.
'A cosa pensi?'
'Come ti senti?'
'Che cosa ci siamo fatti?'»
Voglio proprio vedere chi avrà il coraggio di dire “le bionde sono stupide” dopo aver visto questo film: se trovate quella giusta minimo minimo vi fa sfrattare da casa, vi fa andare in bancarotta e vi incastra per qualche reato sessuale, così, giusto per! Raramente ho visto una bionda così spietata e manipolatrice come Amy Dunne (che tipo Catherine Tramell sembrava una novizia in un convento di montagna!). A turbarmi di più è che questa storia esce dalla penna di Gillian Flynn, fra le varie cose scrittrice e sceneggiatrice televisiva, autrice del romanzo Gone girl, nonché sceneggiatrice del film stesso, ovvero una donna. Mi stupisce con quanto fervore una donna possa dipingere una femme fatale talmente demoniaca e senza scrupoli (ho il sospetto che la povera Gillian abbia sofferto di qualche trauma adolescenziale in stile Mean Girls). Ma torniamo al film, opera ultima di David Fincher, uno che non ha certo bisogno di presentazioni!
Per me Fincher sarà sempre il cineasta autore di quel truce capolavoro che è Seven: un thriller come pochissimi mai usciti sugli schermi. Talvolta mi ricordo che è ha diretto anche Il curioso caso di Benjamin Button, film che ho veramente apprezzato, per la dimensione umana e per il suggestivo gusto artistico, ma tendo a dimenticare che è suo, perché Seven è marchiato indelebilmente nel mio immaginario cinematografico (neanche Fight club è alla sua altezza per mio personalissimo gusto). Ma di nuovo torniamo al film. Vi premetto che ci sarà qualche spoiler qua e là, quindi se dovete ancora vederlo, guardate e passate!
Il film inizia con la misteriosa scomparsa da casa di Amy Dunne (Rosamunde Pike), la bellissima, sensuale ed intelligente moglie di Nick (Ben Affleck), il quale nel frattempo si intrattiene con la sorella gemella nel bar di loro proprietà a lamentarsi di quanto sia infelice il suo matrimonio e quanto sia stronza e frustrante la mitica Amy. Le ricerche partono subito ed ovviamente, a causa di una serie di inequivocabili indizi (fra cui la scoperta che il buon Nick ha una giovane e a dir poco avvenente amante – la celebre Emily del video di Blurred Lines –, nonché la comparsa del diario di Amy nel quale lei descrive minuziosamente quanto teme di essere uccisa dal consorte), si pensa subito all’omicidio, il cui autore è altrettanto inequivocabilmente Nick, che rischia la pena di morte in Missouri. Tutto attorno giornalisti e programmi tv si scatenano ora per osannare, ora per demonizzare Nick, nella migliore tradizione dell’epoca del reality. La scena cambia presto perché improvvisamente si vede Amy viva e vegeta, in un bel viaggio on the road che si strafoga di junk food, compiacersi quasi fino all’orgasmo per essere riuscita ad incastrare il suo deludente maritino per il suo stesso omicidio. Ma per quanto brillante sia la mente di Amy, non ha fatto i conti con gli scherzi del destino ed il suo piano va presto a scatafascio, per cui, mentre suo marito cerca di smascherare il meticoloso piano della crudele mogliettina, avvalendosi ancora una volta della sua mefistofelica intelligenza, lei salva impietosamente la sua angelica immagine a scapito dell’ennesimo uomo soggiogato dal suo fascino.
Questa la trama molto in breve, in verità le situazioni sono molto più articolate, ricche di momenti drammatici, sanguinolenti e perfidi, ma anche di qualche amara risatina. Nel complesso si tratta di un buon film, si potrebbe anche dire ottimo, ma personalmente ho trovato qualche nota stridente. Il personaggio di Amy è reso perfettamente da una eccezionale interpretazione di Rosamunde Pike (candidata all’Oscar, infatti) che mai ci si aspetterebbe così perversa con quel serafico visino; Nick è il solito ragazzone ingenuo e di buon cuore interpretato da Ben Affleck che come attore continua a non piacermi ma che apprezzo come regista/sceneggiatore. La fotografia è a dir poco perfetta: ho capito dai titoli di testa che i miei occhi avrebbero goduto di 145 minuti di estatiche inquadrature, di luci sofisticate e di piani sequenza magistrali; David Fincher, dicevo, è un vero maestro, anzi, un artista, e gli artisti hanno il gusto nel sangue. Fra le scene secondo me più ben riuscite ci sono quelle che riguardano gli amplessi e gli atti di violenza: sospetto che il regista statunitense abbia una certa morbosità in questo senso, ma ben venga se riesce a rappresentare un omicidio così coreografico come quello di Desi Collings (Neil Patrick Harris, che faccio sempre fatica a vedere in panni diversi da quelli di Barney in How I met your mother, anche se la sua piccola parte in Gone girl è impeccabile), con lo statuario corpo seminudo della Pike che danza nel sangue (altro che American Psycho!).
Tuttavia ho trovato che certi momenti fossero piuttosto slegati tra loro o meglio, che nel complesso ci fosse qualche debolezza narrativa. Si parte dal disgusto di Nick per il suo inappagante matrimonio, mentre contemporaneamente si ripercorre il diario di Amy dal loro primo magico incontro, dove sono disegnati come due giovani felici, innamorati, impavidi verso le avversità e travolti da un’inesauribile passione sessuale. Un po’ alla volta, grazie proprio a quel calcolatissimo diario, si scopre che anche le coppie più felici, attraversando le tempeste del matrimonio, si fiaccano, iniziano a non tollerarsi più, ad allontanarsi, fino ad odiarsi. Ma se questa può anche essere una normale situazione, a parer mio, non si capisce che cosa fa scatenare in Amy la sanguinaria molla della vendetta. Ok, si intuisce che ha un passato da psicopatica vendicativa anche con tutti i suoi ex, tuttavia non è chiaro perché arrivare a tanto con Nick, addirittura a pensare di suicidarsi, pur di punirlo (esattamente per cosa? Perché non è l’uomo dei suoi sogni? Perché la tradisce? Perché ha fallito nella vita? Perché da New York l’ha portata nel Missouri?). Tanto più che il dettagliato piano di suicidio (con tanto di check list e scadenziario) si risolve in un nulla di fatto, creando un contrappunto piuttosto fastidioso nell’inconcludente sciogliersi degli eventi.
Menzione d’onore va fatta alla feroce critica nei confronti nel giornalismo populista strappalacrime e dei talk show di serie B (a quanto pare una piaga sociale non soltanto nell’italico suolo) che viene dipinto come un Cerbero affamato di disgrazie altrui, pronto a fare a pezzi chiunque sia anche per errore travolto da una torbida faccenda di cronaca, salvo poi fare disinvoltamente marcia indietro non appena la realtà (o la presunta realtà) viene a galla. Insomma, le Barbara D’Urso le troviamo un po’ in tutto il mondo! A tratti ho avuto la sensazione che l’intera pellicola fosse un pretesto per massacrare questo genere di tv spazzatura più che per raccontare la vicenda di Amy e Nick: ancora una volta vengono svelati i disgustosi altarini dello showbiz, i pietosi tentativi di captatio benevolentiae da parte di vittime e carnefici indirizzati ad un popolo bue di cui ci si interessa solo per fare bella figura e che viene facilmente raggirato da chiunque abbia un’intelligenza leggermente superiore alla media. Eppure, nonostante questi squallidi ingranaggi vengano quotidianamente messi in piazza, ancora non si riesce ad affrancarsene e si è ancora schiacciati dall’altrui becero ed ignorante giudizio.
Senza dubbio si tratta di un ottimo film molto al di sopra dei thrilleracci a cui siamo abituati ultimamente, ma trovo che non abbia la verve di cui è capace Fincher, come Seven, appunto, o come Zodiac. Ad ogni modo, se vi piace il genere, ve lo consiglio caldamente, perché vedere una regia così sofisticata ed una storia ben articolata è sempre un balsamo per gli occhi infiammati da altre porcherie che si vedono sul grande schermo (o della suddetta trash tv)!
Avete visto L’amore bugiardo – Gone girl? Opinioni?