Silvio Muccino torna al cinema, torna dietro la machina da presa, torna da protagonista in una pellicola frizzante, dolce e reale, figlia del nuovo millennio. Siamo tutti più insicuri, stressati, soli e spesso in competizione gli uni con gli altri. Ci sentiamo dei falliti ancora prima di iniziare. Abbiamo bisogno di libri, corsi, life coach, psicoanalisi e tutti gli strumenti (vecchi e nuovi) utili a farci accettare i nostri limiti e a valorizzare i nostri pregi per sentirci realizzati, nel lavoro e soprattutto negli affetti.
I sentimenti, questi traditori, ci fanno palpitare, girare la testa, non capire più nulla, mentire a noi stessi e talvolta fallire clamorosamente. E quando vogliamo distrarci, le commedie romantiche sono il nostro appiglio preferito, le cerchiamo e ce le beviamo in un sorso, soprattutto se americane. Silvio Muccino non lo è, e la cosa ci fa entrare in sala timorosi di udire la solita voce fuori campo pronta a presentare se stessa e la propria disgrazia. Non è andata così.
Il regista Sivio Muccino – Foto di Gianni Franzo
“Le leggi del desiderio” è un film attento, ritmato, con una sceneggiatura solida che cresce, ci fa scoppiare a ridere e poi vira verso una conclusione probabile e prevedibilmente romantica. Ricorda le migliori commedie confezionate oltre oceano, ma rimane fedele allo sguardo italiano. La trama piace ancor prima di realizzarlo, grazie ad un’insolita sobrietà e a un tempo battuto da una colonna sonora che ci fa venir voglia di alzare lo stereo ad alto volume come non capitava dagli anni ’90.
Questa è la storia di Giovanni Canton (Sivio Muccino) un trainer motivazionale di successo che col suo libro balza in cima alle classifiche (e salva la casa editrice). È un uomo in grado di trascinare le folle, amato o odiato, considerato da alcuni un santone e da altri un cialtrone, che un giorno decide di provare le sue teorie con un esperimento da mostrare mesi dopo in televisione. Ma questa, è anche la storia dei tre prescelti: un disoccupato, una segretaria, un’assistente di redazione. Lo scopo è dimostrare che seguendo precisi schemi si possano avverare tutti i desideri, siano d’amore, lavorativi, o altro. Tra i quattro si stabilirà un legame inatteso dalle conseguenze molto umane.
Una scena del film – Foto di Gianni Franzo
Il film è bello oltre ogni previsione. Il regista è accorto, cresciuto e sicuro di se. La confezione brilla e dimostra come anche a questa latitudine si possano realizzare pellicole romantiche non lagnose o con ritmo incespicante. L’immedesimazione non è solo possibile, è immediata, supera qualsiasi reticenza. Le storie di questi tre personaggi sono le nostre, nei desideri, negli insuccessi, nei sogni, nel quotidiano. L’intrattenimento non scivola sino a quel finale – perdonabile – ai miei occhi melenso che è il più ovvio, prevedibile e probabilmente cercato dal pubblico che, mai come oggi, ha necessità di sognare, credere che il meglio debba ancora arrivare, e di giocose evasioni.
Mi sfugge il motivo per cui “Le leggi del desiderio” non sia uscito in sala a San Valentino, ma sono sicura che piacerà ai giovanissimi, alla mia generazione e a chi l’amore di gioventù lo ricorda col sorriso.
Vissia Menza