di Rina Brundu. Premetto che è già la seconda o terza marchetta sul prossimo film di Nanni Moretti che mi è capitato di vedere sui canali RAI. Di norma cambio immediatamente canale ma questa volta lo spot propagandistico mi ha colto di sorpresa perché in coda al telegiornale della sera. Troppo tardi dunque per fare zapping e troppo tardi per impedirmi di sentire il solito canovaccio agiografico senza arte ne parte.
Premetto pure che il cinema è una delle mie passioni. Dai grandi capolavori in bianco e nero al mio veneratissimo Sergei Eisenstein, agli italiani (sì questa volta anche gli italiani!) Fellini, Sergio Leone, fino ai film comici dell’immenso principe Antonio de Curtis, ma soprattutto ad una vastissima dvd-teca sci-fi ricca di effetti speciali in Real3D, non mi sono mai fatta mancare nulla. Ho anche studiato storia del cinema e ho sempre trovato molto interessanti gli strumenti critici che mette a disposizione la tecnicalità specifica di questi canovacci. Soprattuttto sono una ammiratrice del genio strabiliante di alcuni grandi sceneggiatori americani dei giorni nostri, primo fra tutti l’incredibile Aaron Sorkin.
Confesso, invece, di non capire e di non avere mai capito tutto il much-ado-about-nothing (secondo me, almeno), intorno all’arte di Nanni Moretti. Per carità!, ci ho pure provato a guardare i suoi film, da “Caro diario”, “Alla stanza del figlio”, e poi un giorno ho finanche deciso che vivaddio-mi-sarei-acculturata-in-merito e in un momento di aberrazione ho persino acquistato il dvd “Habemus Papam”. A tutt’oggi quest’oggetto lo posso ancora scorgere, solitario e ramingo, infilato tra i tanti dvd della collezione come un malinconico protagonista del malotiano “Senza famiglia”, mentre il solo guardarlo da lontano ispira ad un tempo sconforto e rassegnazione.
Mi rendo conto che potrà essere una faccenda di background culturale ma davvero non riesco a mettere dietro ai ritmi lenti, posticciamente pregnanti, le sceneggiature semplici e lineari (quasi bambinesche) del cinema morettiano. Mi riesce anche difficile capire perché – in questi tempi che non sono più il 68 pasoliniano – Moretti si ostini a voler produrre significazione mediante connotazione e l’utilizzo di strategie tecniche che favoriscono quel fine. L’arte vera, con tutto il rispetto, denota e non connota, perciò rimando chiunque avesse dei dubbi in merito ad una attenta lettura (ne basta anche una svagata a dire il vero!) dello script originale sorkiano per The Social Network, il fim diretto da David Fincher nel 2010, una sceneggiatura che è un capolavoro di capacità autorale a tutto tondo.
Ne deriva che la domanda amletica nasce spontanea: perché ogni volta che c’é un film morettiano in arrivo la RAI-TV ci fa due balle così (balle d’antan, tra l’altro) con queste marchette? Ah, saperlo!
Featured image, theatrical poster of Ivan the Terrible by Sergei Eisenstein.