(Recensione di Ivana Mette per “storiadeifilm.it“) – “Cake” un film di Daniel Barnz con Jennifer Aniston, Anna Kendrick, Britt Robertson, Sam Worthington, Lucy Punch e William H. Macy (Frank Gallagher in “Shameless”).
Claire Simmons (Jennifer Aniston) soffre. Il suo dolore fisico è evidente dalle cicatrici che segnano il suo corpo e dal modo in cui si trascina in giro, sussultando a ogni tentativo di fare un passo. Non è brava nemmeno a nascondere il suo dolore interno, quello che le portano le sue emozioni. Spinta fino al punto dell’insulto violento,la rabbia di Claire ribolle in quasi tutte le sue interazioni con gli altri. è stata allontanata da suo marito, dai suoi amici; anche il suo gruppo di supporto sul dolore cronico l’ha buttata fuori.
L’unica persona rimasta nell’altrimenti solitaria esistenza di Claire è la sua badante e domestica, Silvana (Adriana Barraza), che poco sopporta il bisogno di liquori e pillole del suo capo. Ma il suicidio di Nina (Anna Kendrick), uno dei membri del gruppo di supporto, fa giungere in lei una nuova ossessione. Facendosi continue domande sulla morte di una donna che conosceva a malapena, Claire esplora il confine fra vita e morte, abbandono e cuore spezzato, pericolo e salvezza. Mentre si insinua nella vita del marito di Nina (Sam Worthington) e del figlio che la donna ha lasciato, Claire forse troverà un modo di salvare se stessa.
Con la sua prima interpretazione drammatica la Aniston segna il suo effettivo ingresso nella rosa di Hollywood, dimostrando, dopo decenni di brillanti, ma talvolta scadenti commedie, la bravura che l’ha portata nella soleggiata meta californiana. Intensa e coinvolgente è la sua interpretazione che raggiunge con un forte impatto lo spettatore il quale, si ritrova rapito dal suo dolore, lo sente come proprio. Il dolore di una donna che, per qualche ragione, è quello di tutti e il suo cammino, costellato di rifiuto e cadute nel vuoto, la porterà ad affrontarlo, nel tentativo di superarlo.
Un film dolce e amaro, che nella rappresentazione scenica della sofferenza fisica e psicologica della protagonista, nella sua perdita, ritrova un senso profondo di empatia tra attore e personaggio e tra il personaggio e il suo spettatore. Quest’ultimo viene inglobato nella visione di una pellicola che è narrata interamente dal punto di vista della protagonista, di cui tuttavia non vediamo mai soggettive o altri espedienti tecnici che ci portino ad immedesimarci in lei. Eppure la penetrazione all’interno del suo essere avviene. I suoi sentimenti ci colpiscono e ci segnano e la accompagniamo nel suo cammino senza dare giudizi, seppur tendenzialmente veniamo a primo impatto portati ad accettarla sgradevolmente in quanto protagonista e a farci carico della sua vicenda. Vicenda che in realtà ci viene mostrata dall’esterno, con una telecamera a mano che, senza eccedere di piani sequenza, trova un equilibrio perfetto nel mostrarci la protagonista, la cui presenza ci è celata solo in una occasione, nella quale vediamo unicamente la domestica, Silvana, con la figlia, e la sua relazione con il… (per continuare a leggere la recensione > “storiadeifilm.it”']);">cliccare qui –>> “storiadeifilm.it”).