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Cinema: recensione e trailer de “Il figlio di Saul”, il nuovo film di László Nemes

Creato il 04 gennaio 2016 da Stivalepensante @StivalePensante

(Recensione di Pasquale D’Aiello per “storiadeifilm.it“) – “Il Figlio di Saul” è un film di László Nemes, con Géza Röhrig, Levente Molnar, Urs Rechn, Todd Charmont e Sandor Zsoter. Gran premio della Giuria allo scorso Festival di Cannes uscirà nelle sale cinematografiche italiane il prossimo 21 gennaio.

Un prigioniero del campo di concentramento di Auschwitz crede di riconoscere suo figlio tra le vittime delle camere a gas del campo e desidera concedergli una degna sepoltura ma questo lo mette in contrasto con il tentativo di fuga che i suoi compagni stanno organizzando.

Siamo nel 1944, nel campo di concentramento di Auschwitz. Guardiamo la storia con gli occhi del protagonista, Saul, un ebreo membro del sonderkommando. Il sonderkommando era il gruppo di prigionieri addetto ad accompagnare gli altri prigionieri alle camere a gas, senza che sospettassero del loro destino, e successivamente raccoglierne gli oggetti preziosi. In cambio di questa funzione, che li vedeva affiancare gli sterminatori nazisti, ricevevano le briciole di un trattamento leggermente migliore rispetto agli altri prigionieri. Ma anche per loro il destino era segnato, periodicamente venivano eliminati per cancellare le testimonianze del crimine nazista. Il primo tema che il regista affronta è quello della raccontabilità che è intimamente connesso a quello della memoria.

Quando il cinema ha dovuto raccontare dei campi di sterminio nazisti si è posta la questione della raffigurazione di ciò che appariva non raffigurabile, dell’orrore assoluto e della morte per sterminio di massa. Quando Alain Resnais realizzò il suo film documentario sui campi di concentramento, Notte e nebbia (1955), si pose innanzitutto la questione della credibilità, era fondamentale che le immagini apparissero veridiche; esistevano già tesi negazioniste e occorreva utilizzare le immagini come prove di quanto realmente avvenne. Per avvicinarsi al suo intento Resnais ritenne utile operare sulla pellicola il minor numero possibile di tagli, affidando al piano sequenza il compito di raccontare la verità, con questo sottintendendo che solo lo statuto dell’immagine documentaria, il meno trattata possibile, possedeva la capacità di raccontare quell’evento.

Altra questione sollevata in questo ambito è la raffigurazione della morte, celebre la polemica che vide Jacques Rivette (anche sulla scorta di precedenti riflessioni di Godard), sui Cahiers du Cinema, accusare di immoralità Gillo Pontecorvo per il suo carrello che in Kapò (1960) raffigurava la morte di una prigioniera in un campo di concentramento, enfatizzando e sottolineando ciò che per sua natura non sarebbe stato neppure rappresentabile. Rivette arrivò ad accusare Pontecorvo persino del delitto di aver… (per continuare a leggere la recensione > “storiadeifilm.it”']);">cliccare qui –>> “storiadeifilm.it”).


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