Finalmente sono andata a vedere Revenant, il più tardi possibile, per evitare gli affollamenti e i cafoni che occupano le sale alle prime uscite, che corrono a vedere un film di un certo Iñárritu solo perché c’è “quello del Titanic” e che escono dalla sala col broncio dicendo “oh che lento ‘sto film” e “non glielo danno l’Oscar neanche stavolta”. Come se Leonardo Di Caprio girasse film per prendere l’Oscar. Come se qualsiasi attore girasse film per prendere Oscar. Come se Medici senza frontiere operasse dove c’è guerra civile per prendere il Nobel per la pace. Come se Philip Roth scrivesse per prendere il Pulitzer. Come se Alejandro Aravena progettasse per prendere il Pritzker. Il fatto è che gli artisti non lavorano per ricevere premi o onorificenze, lo fanno per l’amore per l’arte e sicuramente vivranno con una certa frustrazione il fatto di non ricevere i dovuti onori, ma dubito vivamente che si chiudano in casa a rigare di lacrime il cuscino se ciò non avviene. Non è un premio a definire la statura artistica di una persona, per cui anche se Leonardo Di Caprio non vincerà l’Oscar nel 2016, non cambia il fatto che resta uno dei più grandi attori viventi al mondo. Ma torniamo a Revenant.
Non avevo letto pressoché nulla prima dela visione, proprio perché mi piace entrare in sala senza preconcetti o con piccoli tarli che influenzano il metro di giudizio: voglio farmi un’opinione personale, giusta o sbagliata che sia, ma del tutto soggettiva. Di Iñárritu ho visto un paio di film, e sicuramente ad oggi il mio preferito resta Babel, per il dramma personale, la coralità, la capacità di esprimere l’incomunicabilità nell’umanità, limitata dal gap linguistico ma anche culturale e sentimentale, oltre alla suggestiva regia. Revenant è qualcosa di molto diverso: è un film che racconta l’amore di un padre per il figlio, ma lo fa in maniera atipica, rappresentando la disperata ricerca di vendetta di questo padre verso l’assassino del figlio, un modo decisamente originale di raccontare l’amore (ma che rappresenta un topos sicuramente non nuovo di zecca: mi viene in mente la Trilogia della vendetta di Park Chan-Wook, per dire). Forse è più corretto dire che rappresenta la disperazione di un uomo per la perdita del figlio, che pensa che l’unica cosa da fare sia rinascere dopo una quasi morte fisica per pareggiare i conti, ma come dice l’assassino del figlio in punto di morte «e allora goditela questa vendetta, tanto nulla riporterà in vita tuo figlio». Ed è qui che si conclude il film, nella consapevolezza che nulla può cancellare ciò che è successo e la vendetta non lascia nulla, solo sangue sulla neve, una magra consolazione per un padre che perde un figlio, l’unico vero bene che ha al mondo.
La regia è squisitamente lirica: lunghissimi fermi immagine e qualche piano sequenza su una natura tanto gelida ed inospitale quanto meravigliosamente bella; è come il termine greco phármakon che racchiude in sé il concetto di medicina che può salvare la vita ma anche di veleno che può toglierla per sempre; allo stesso modo la natura raccontata da Iñárritu può uccidere, per il freddo, per la violenza delle acque, ma può anche salvare, tramite il fuoco o la carcassa di un cavallo morto. La straziante bellezza delle montagne e delle valli innevate induce un opprimente senso di solitudine nell’uomo ed il pensiero vola subito alla fragile natura umana, effimera e piccola davanti alla magniloquenza della natura. Iñárritu sceglie proprio l’ambiente come coprotagonista e la dirige in modo spettacolare offrendone una performance degna davvero di un premio.
E poi ci sono gli attori, straordinari dal primo all’ultimo. A partire da Leonardo Di Caprio, che non sbaglia mai (nel senso che recita sempre in maniera impeccabile, anche nei film che non mi sono piaciuti, tipo Titanic o The Great Gatsby), ma forse sono di parte: per me vedere un film con Leonardo è come per i genitori vedere la recita dei figli, mi si riempie il cuore di orgoglio e di amore! Quello che mi ha colpito più di tutto in questo film è la sua espressività che ha potuto manifestare in maniera esaltante anche in quei passaggi in cui non c’erano battute e a recitare era solo il corpo, come in un dramma teatrale: trasparivano amore, dolore, rabbia, sofferenza fisica e morale, disperazione, il tutto attraverso uno sguardo od una smorfia. Ed è questo per me che fa di un attore un grande attore.
Al suo fianco un eccezionale Tom Hardy, che non sbaglia letteralmente un colpo, con interpretazioni eccellenti in pellicole veramente interessanti (penso che non abbia la popolarità che merita) ed un altrettanto bravo Domhnall Gleeson che avevo particolarmente amato nei panni di Levin in Anna Karenina di Joe Wright.
In conclusione si tratta di un bel film, perfetto sotto ogni punto di vista, ma non proprio nelle mie corde come genere: continuo a preferire i film intimisti, meno spettacolari e più rivolti all’introspezione dei personaggi. Lo suggerisco a chi ama gli action movie sofisticati, agli amanti del neowestern e di pellicole che esaltano l’ambiente naturale, non più cornice, ma vero e proprio personaggio parlante. Oltre ovviamente alle fan di Leonardo Di Caprio!!
Avete visto Revenant? Opinioni?