Accanto al mio gusto squisitamente snob per la cinematografia c’è anche una serie di debolezze che farebbero rabbrividire un cinefilo dop: vado matta per i film demenziali (tipo Hot Shots! e Scary Movie, per capirci); impazzisco per la fantascienza (e sono tra i tanti che attendono il risveglio della Forza) e ho un amore incondizionato per 007. Ma non un 007 a caso, il James Bond interpretato da Daniel Craig.
I film d’azione non mi piacciono, non mi sono mai piaciuti; li ritengo appena più passabili dei film horror (di cui non capirò mai il senso!). Non mi ero mai interessata a 007, neanche quando aveva l’affascinante volto di Sean Connery. In passato ho visto qualche episodio senza tuttavia mai appassionarmi: James Bond mi sembrava il classico supermacho onnipotente che si vede nei film americani, condito in salsa Worcester. Anche Daniel Craig mi era del tutto indifferente fino al momento in cui scelsero per Casinò Royale; quando tuttavia lo insignirono della livrea bondiana, fui fra quelli che si sdegnarono per lo stravolgimento fenotipico dell’agente doppio zero. Salvo poi leggere un commento in cui si diceva che il nuovo Bond non era più il classico agente imbattibile al servizio della Corona britannica, ma era prima di tutto un uomo. Il nuovo Bond è psicologicamente più definito dei precedenti e mette in mostra anche le sue debolezze, fisiche e sentimentali. Ed è anche un gran figon (e lo dice una a cui i biondi non piacciono, tanto meno con gli occhi azzurri ed iperpalestrati).
Li ho visti tutti: Casinò Royale, Quantum of Solace, Skyfall e Spectre e tutti al cinema escluso il primo, perché sono film che devono essere visti al cinema. Il mio preferito è Casinò Royale sebbene qualitativamente non sia proprio all’altezza dei successivi, specialmente gli ultimi due diretti dal magnifico Sam Mendes, ma è sicuramente quello più intimista: qui infatti si vede Bond davvero nella sua fragilità umana, avvinto dal suo amore per Vesper Lynd (una Eva Green in stato di grazia), forse l’unica donna che abbia mai amato e che porterà sempre nel cuore, nonostante il tradimento di lei.
Spectre, così come era stato Skyfall, è un tripudio di magnificenza fotografica: non c’è una sequenza che non rientri in una ipotetica sezione aurea dello schermo cinematografico. Mi sono innamorata fin dalla prima immagine, dove si vede il macabramente gioioso corteo del Dìa de los muertos di Città del Messico.
E da qui parte l’azione, concitata, adrenalinica, iperbolica, come ogni sequenza d’azione di James Bond, che ispira il costante terrore che il nostro protagonista potrebbe morire ad ogni istante (ma la certezza che mancano ancora quei 130 minuti di pellicola diventa subito la comfort zone).
La vicenda è ovviamente la continuazione degli episodi precedenti ed appare progressivamente chiaro come tutti i cattivi che abbiamo visto finora sono legati da una misteriosa organizzazione chiamata Spectre che mira a prendere il controllo di ogni forma di informazione mondiale, una specie di terrificante Grande Fratello orwelliano; a capo dell’organizzazione il perverso e visionario Blofeld, interpretato da un sempre eccelso Christoph Waltz (uno che è nato per fare il cattivo). La bond girl della situazione è Léa Seydoux, da me conosciuta nel rivelatore La vita di Adele e recentemente molto apprezzata in The Lobster, che tuttavia, come ogni bond girl che si rispetti (eccezion fatta per Vesper) ha un ruolo del tutto marginale.
La trama ovviamente è molto articolata (anche perché per riempire 148 minuti non potevano certo mettere solo esplosioni ed intermezzi dalla dubbia utilità come quello che vede protagonista Monica Bellucci, come sempre espressiva quanto un piatto di pasta in bianco, ma ancora più bella di molte smandrappate che hanno la metà dei suoi anni) e bisogna prestare una certa attenzione per non perdere pezzi (se poi non avete visto gli episodi precedenti non sarà proprio facile mettere tutte le caselle al proprio posto). Sembra che in questa ‘puntata’ si tirino le somme delle vicende di James, che i nodi della sua infanzia vengano al pettine, che le sue donne (fra cui M-Judy Dench) vengano vendicate, che l’ordine mondiale venga ristabilito: il personaggio di James Bond raggiunge il suo compimento raggiungendo finalmente la consapevolezza che la licenza di uccidere è anche la “licenza di non uccidere”.
La sceneggiatura è ovviamente brillante: mantiene costante un ritmo incalzante, grazie al sofisticato humour inglese che non manca mai, neanche nei momenti più drammatici, regalando una piacevole leggerezza ed esorcizzando l’estrema serietà dell’argomento trattato.
Lo stesso stile britannicamente chic trasuda da ogni altro dettaglio: vestiti su misura, accessori perfetti, automobili di design, eccetera eccetera… la cifra stilistica che contraddistingue l’agente 007 in tutto il mondo: uno charme che conserva in ogni circostanza, dalla scazzottata sul treno a quella sull’elicottero.
Della fotografia ho già detto, si può aggiungere solo che è tutto perfezione: l’equilibrio cromatico, il gioco di luci, le proporzioni, le inquadrature. Tutto ma proprio tutto.
Chiaramente non si tratta di un film d’essay ma non si può neanche classificare un mero film d’azione, perché ha troppa classe. Motivo per cui ne consiglio la visione, anche a chi ha solo voglia di trascorre un paio d’ore d’intrattenimento, preferibilmente al cinema perché film così hanno bisogno di moltissimi pollici per dare il loro meglio.
Avete visto Spectre? Qual è la vostra posizione in merito all’agente 007?
P.S.: Ovviamente il James Bond di Daniel Craig è entrato prepotentemente nelle fila del mio uomo ideale nel 2006 grazie a Casinò Royale, poi è stato tutto un viaggio in discesa!