Forte di una proposta cinematografica sempre più ricca e diversificata, il Festival del cine español è giunto in gran forma alla sua settima edizione. Un’agguerrita selezione di film inediti è sbarcata a Roma, dalla penisola iberica, nel periodo dall’8 al 13 maggio. E come in altre occasioni il pubblico del cinema Farnese ha risposto alla grande. Già dalla serata di apertura, quando è stato proiettato in anteprima Vivir es fácil con los ojos cerrados di David Trueba, file enormi si sono create in Campo de’ Fiori, all’esterno del cinema. Fin quasi a dare l’impressione che la stessa statua di Giordano Bruno, al centro della piazza, volesse fare il biglietto!
I più cinefili si sono al contempo beati della riproposizione di alcuni classici del cinema spagnolo. Tanto per fare qualche esempio, nostro vanto è aver rivisto Tristana, uno dei capolavori di Buñuel, sul grande schermo. Ma è su uno dei lungometraggi proiettati in anteprima per l’Italia che vogliamo ora soffermarci. Pare che il suo regista, Jonás Trueba, sia considerato per certi versi il Philippe Garrel spagnolo. Ma nella sua opera abbiamo riscontrato persino maggior freschezza, sia di intenti che di linguaggio cinematografico. Los ilusos è un piccolo film in bianco e nero, girato nell’arco di diversi mesi con una libertà, con una innocenza di sguardo, che possono lasciare stupefatti. Nemmeno il variegato contorno di citazioni cinematografiche e letterarie ha il potere di appesantirlo. E se pure viene spontaneo fare qualche riferimento a Cassavetes, a Godard o a Truffaut, per inquadrarne in qualche misura la poetica, non si ha mai l’impressione di assistere a un’imitazione, perché in certi tratti specifici e nella lieve ironia, che a tratti affiora, risiede un’anima personale.
Nelle prime sequenze si vede un gruppetto di amici giocare all’Assassino, il popolare gioco di società. Da certe notti madrilene si sviluppano poi altre situazioni, che inonderanno presto anche il giorno, in cui la passione cinefila dei protagonisti si fonde con incipienti malinconie, tentazioni suicide, spiragli amorosi e ulteriori sviluppi sentimentali. Il tocco è un po’ quello, spigliato, dei maestri della Nouvelle Vague, riportato però all’universo di precarietà giovanile che sta sperimentando in questi anni la Spagna, al pari di altri paesi europei. Nella prima metà del film l’impostazione narrativa e lo stile sono decisamente più rapsodici. Poi è un aurorale rapporto di coppia a catalizzare l’attenzione, mentre continuano quelle digressioni a carattere metacinematografico, che in certi casi assumono connotazioni particolarmente gustose. Fino a un epilogo che vede il pessimismo di fondo diradarsi, lasciando spazio all’immagine divertente di alcuni bimbetti che giocano a terra, in una distesa di VHS: quasi un possibile, rassicurante futuro, per le nuove generazioni e per il cinema stesso.
Stefano Coccia