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Un paio di settimane fa la noia serale m'attanagliava e al "Vado al cinema!" della mia genitrice sono scattata dalla sedia urlando "Okay, vengo anche io", nonostante fossi assolutamente ignara dei film in programmazione. Questo stato di ignoranza è rimasto invariato fino al momento dei biglietti: "Tre per Nessuno mi può giudicare, grazie". Non sapevo se pensare a Caterina Caselli o a Berlusconi. Insomma, un titolo così è così perfetto da essere assolutamente scontato per un biopic sul premier. (E se non ricordo male lo hanno usato pure per una puntata di AnnoZero, in effetti).
Comunque, all'occhiata successiva, la visione di Raoul Bova e della Cortellesi sui manifesti mi fa dimenticare sia la Caselli che Berlusconi. Non sono una di quelli che "Il cinema italiano mi fa schifo a meno che non si tratti di Moretti e Garrone", ma sicuramente non era un film che sarei andata a vedere di mia spontanea volontà e sicuramente non entravo in sala con grosse aspettative a parte l'idea di passare due ore fuori dalla routine casalinga del mercoledì sera.
Ho dovuto ricredermi: il film manda messaggi piuttosto interessanti se ci si fa bene attenzione. Prima di tutto, si parla di escort, argomento quanto mai attuale a pochissimi giorni dal processo Ruby (Visto che c'era il nesso con Berlusconi?!?). Il problema però è COME se ne parla: intendiamoci, il messaggio che fanno passare sulle escort in se per se non è nemmeno sbagliato, non è pura colpevolizzazione moralista ne tantomeno pura indifferenza da abitudine quanto una posizione piuttosto equilibrata, abbastanza condivisibile che non generalizza, non fa ne un'estrema vittimizzazione ne, al contrario, un estrema colpevolizzazione (Non spoilero nel post le scene del film a cui mi riferisco, ma volendo se ne può tranquillamente discutere nei commenti). L'errore, a mio avviso, l'errore TOTALE, sta nel trattare la questione "clienti delle escort": il regista all'inizio li cita solo en passant, li fa apparire esseri quasi leggendari, quasi inesistenti, quasi leggende metropolitane (Quando Eva, la escort "scafata" ne parla alla protagonista, aspirante escort), poi, quando li fa vedere, li fa risultare quasi personaggi simpatici (Quello che si veste da Batman) o "da comprendere" (Ho sentito una signora che -riguardo al cliente masochista- uscendo dal cinema ha commentato: "E ci credo che va a puttane, con quella moglie!". Tra l'altro, maschilismo portami via, ma soprassediamo sulla questione). L'unico che appare stronzo, anche se stereotipato (Quello sullo yacht) viene stemperato e fatto passare in secondo piano dalla scena immediatamente successiva, dall'umorismo che sebbene sia un umorismo da clichè fa effettivamente ridere di: "Tu devi essere orgoglioso di essere africano" "Ma io veramente sono di Catanzaro".
In sostanza, quello che non condivido del messaggio del film (Magari è perchè è una produzione Rai?) è l'eccessiva umanizzazione dei clienti delle escort che ce li fa sentire vicini, quasi simpatici, ci porta quasi all'idea di "Non condannare ma abituarsi" del "Capita" ecc ecc ecc.
E io personalmente i clienti delle escort rifiuto di farmeli stare simpatici, che si chiamino Silvio Berlusconi, Emilio Fede o che siano uno stronzo che scopa vestito da Batman.
Un film da vedere, comunque. Per capire la strategia che vogliono usare per fotterci.
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