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Posso essere la voce dell'impopolarità? Ok, non prendetela subito male. Non è che non mi è piaciuto. Solo che non mi è piaciuto così tanto. Film sul genere ne abbiamo un sacco, e quello che voglio dire io è: questo non è poi tanto diverso dagli altri. 12 anni schiavo si erge vittorioso su fotografia, cast e regia, ma pecca, a mio parere, grandemente, nella sceneggiatura e in quello che alla fine ha saputo mostrare. Parte bene, anzi benissimo, ma poi inciampa in delle sottospecie di cose aspettatissime e ripetitive, che no, no Steve, così non va. Ma andiamo con ordine. Vincente l'inizio, dove ci viene presentato Solomon Northup, un uomo brillante, davvero brillante, con una bella famiglia, un talento meraviglioso nel suonare il violino, una vita tranquilla e soddisfacente nella contea di Saratoga. Quello che abbiamo è quindi un uomo comune, un borghese dell'ottocento, non si parte da una vittima, da un povero o da un rivoluzionario, non da qualcuno in cerca di vendetta. Solomon è uno qualunque. Che ha la sfortuna di imbattersi, o meglio, di credere, in due tizi che lo porteranno a perdere la sua libertà. La scelta di questo punto di vista iniziale, a mio parere, promette(va) un crescendo di perdita "umana" ma al contempo di presa di coscienza, che forse c'è stata, ma che è stata affrontata con mezzi deboli, e non ha raggiunto il climax che mi ero pregustato dopo questo sfavillante inizio. Ecco quindi la schiavitù di Solomon, che perde, una cosa che è stata di fatto affrontata con impatto e tagliente repentinità, il suo nome, diventando Platt. Platt comunque sia sarà sempre cosciente di essere Solomon, e non perderà sé stesso, e questo lo renderà il diverso, agli occhi dei padroni e degli stessi schiavi. Solomon sa chi era e se lo ricorda, affronterà le cose con una dignità e un'intelligenza disarmanti. Quindi? Entrano in scena violenza, razzismo, situazioni ai limiti dell'orrore che ci stanno tutte. Anzi, ci devono essere. Solomon cambia tre volte padrone, dal "comprensivo" William Ford (Benedict Cumberbatch) al maniacale Edwin Epps (Michael Fassbender), incontrando schiavi, uomini crudeli, situazioni terribilmente crude. Qui però cominciano le mancanze. Quello che io ho visto è stato, una testimonianza, ripeto, giustamente visto l'argomento, della crudeltà umana. La storia di Solomon non è solo la storia di un uomo libero che perde la libertà, è prima di tutto la storia di un uomo prima di tutto, un uomo e basta, e della prospettiva che il concetto di essere umano e umanità può assumere. Ma questo da dove lo ottengo? Forse dall'entrata in scena del deus ex machina Samuel Bass, interpretato da Brad Pitt, che solleva un velo di Maya tessuto di vero e proprio inganno. Ma da nient'altro. O almeno, questo è quello che (non) ho sentito io. Perché McQueen ce lo dice chiaramente forse, con inquadrature su una natura bella ma quasi oscena, con il sangue che schizza via durante le frustate, con bruchi che infestano il cotone, McQueen è un artista e lo sappiamo. Però vorrei mettere in atto un paragone forse insensato. In "Shame" McQueenera stato quasi infido, intimo, la storia di un uomo che affronta e soffre le sue pulsioni sessuali era stata affrontata con una raffinatezza, ma allo stesso tempo una crudeltà, davvero incantevole. Qui manca l'intimità. Lo so che c'è, e credetemi, non è facile smuovere critiche a un film che è candidato a nove premi Oscar, e mi sento una maledetta insensibile a dire certe cose, però, non mi ha toccato così tanto. Quello che porta avanti il film sono i suoi punti di forza, e ovviamente, la storia di Solomon, l'umanità e la coscienza sopratutto di un uomo che non si arrende mai, nemmeno di fronte all'evidenza di un essere umano così perdutamente e diabolicamente brutale come Edwin Epps, come l'esasperazione di una schiava che preferisce morire, che vuole morire, piuttosto di andare avanti, cosa che Solomon fa ogni giorno, per sé stesso e per chi era soprattutto. Ma quello che rende il film poco avvincente e poco eclatante e la sua mancata intimità con lo spettatore come ho detto, la sua messa in scena di realismo crudo con un lasciare sottinteso tutto il resto. La crudeltà mi è parsa in alcuni momenti ripetitiva, ridondante. Il lavoro sulla sceneggiatura infatti non eguaglia il lavoro sulla regia, neanche un po'. E neanche eguaglia il cast clamorosamente bravo. Da Chiwetel Ejiofor, Solomon appunto, al magnifico Fassbender, che vince davvero tutto. Una menzione va giustamente anche a Lupita Nyong'o, lei sì che mostra un'intimità di tutto rispetto. Ma la storia non evolve, non arriva. Con una regia del genere, una fotografia grandiosa, un cast fantastico, una storia incredibile da raccontare, il film va a peccare proprio su ciò che doveva venirgli meglio, ovvero la naturalezza, l'intimità, la voglia di mostrare. Così quello che ne è venuto fuori e un'opera assolutamente da vedere, perché attenzione, non sto dicendo che fa schifo, ma è qualcosa che non inciderà poi così tanto in un mosaico di storie simili, perché è stata trasmessa debolmente, la mancanza di empatia secondo me è palese. Il finale repentino trasmette infatti allo spettatore soddisfazione, ma non sollievo. Comunque sia, dopo esser stata così crudele voglio comunque annoverare alcuni momenti della visione che valgono davvero pena. La scena dell'agguato di John Tibeats a Solomon, scena dolorosa ed esasperante, il dialogo con Brad Pitt, e la fotografia in generale (quante volte l'ho detto?), meravigliosa. Quindi guardatelo, perché è il racconto di una storia da ricordare, e meravigliatevi di fronte alla crudeltà umana alla corrispondente speranza che ne deriva, ma non vi aspettate una rivoluzione emotiva, perché secondo me non arriva.
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Leo Sanguedinchiostro
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