"Ogni pietra azza parite."
Edoardo Whinspeare è un regista dai natali austrialiani ma dalla produzione estremamente legata al Salento, dove è cresciuto. Legame che non si spezza affatto con la sua ultima opera, In grazia di Dio che, anzi, fa di questa terra disgraziatamente meravigliosa il cuore pulsante della storia delle protagoniste. Quattro donne, quattro generazioni differenti che si scontrano con il dramma della crisi: costrette a chiudere l'impresa tessile di famiglia e sommerse dai debiti, Adele, Ina Salvatrice e Maria vanno a vivere nella campagna leccese e, tra stenti, sacrifici e contraddizioni si metta in scena una saga famigliare matriarcale incredibilmente realista.
Whinsperare si dimostra eccellente innanzitutto nell'analisi dei rapporti tra le quattro protagoniste, spesso contraddittori, spesso lasciati in sospeso tra amore e rancore, eppure indissolubili, sempre conciliati nel momento in cui bisogna far fronte alle disgrazie e proteggersi l'una l'altra. Realista è anche il ritratto delle quattro differenti generazioni: si parte infatti da Salvatrice - una nonna forte, rappresentazione della solidità delle radici - si passa per le due figlie, la maggiore, Adele, ben conscia di cosa sia il sacrificio, sempre pronta a lavorare, a darsi da fare e rimboccarsi le maniche, la minore, Maria Concetta, in preda alle ambizioni di attrice e ai sogni che stonano con la situazione di crisi, per arrivare infine a Ina, la figlia di Adele, superficiale, egoista e scansafatiche, è colei che più rinnega la famiglia e, allo stesso tempo, colei che finisce sempre per averne più bisogno. I personaggi di Whinspeare e le loro relazioni non subiscono una vera e proprio evoluzione. Se la situazione generale può essere paragonata ad una parabola, i rapporti nel microcosmo famigliare sembrano invece girare su stessi, sempre lontani da una risoluzione definitiva. Sia in città che in campagna, sia nelle disgrazia più nera che nella speranza di una ripresa, vediamo infatti che i frequenti battibecchi tra le quattro donne ritornano in ogni caso, spesso quasi dando l'impressione di seguire sempre lo stesso copione e di ricadere negli stessi errori, come, in fondo, accade in ogni famiglia: ci si perde, ci si ritrova per riperdersi e ritrovarsi ancora e ancora.Il tema del crollo economico viene portato avanti in quello che appare come un inno, forse un po' semplicistico ma comunque d'effetto, al ritorno alle origini, alla terra e alle radici. La stessa fede che permea la pellicola già dal titolo non è altro che l'affidamento umile e rustico ad un Dio delle persone umili e delle cose semplici: il Dio della collanina del Rosario appesa allo specchietto della macchina, il Dio del tempietto alla Vergine scavato in un muretto di fortuna. La "grazia di Dio" è una condizione di umile serenità, quella che le donne tentano di raggiungere con i pochi mezzi a disposizione (esemplare è il ritorno al sistema del baratto), rinunciando a futili ambizioni e legandosi alla terra che diviene il vero mezzo di salvezza. Questo aspetto viene sottolineato dalla mancata realizzazione dei sogni di attrice di Maria Concetta così come dalla fine del nuovo amore di Adele.Ho apprezzato la scelta dei dialoghi completamente in dialetto, anche se di tanto in tanto l'inesperienza delle quattro attrici si nota in una recitazione un po' macchinosa, ma il punto forte di tutta la pellicola è la regia molto presente e autoriale. Magistrali sono i primi sui volti scavati dalla fatica di Adele e Salvatrice - la prima in particolare viene colta ad un certo punto mentre è immersa nella campagna in un primo piano che ho trovato indimenticabile - così come le inquadrature bucoliche che con tempi dilatati colgono perfettamente la sacralità di una terra assolata, feconda e ancestrale.
Insomma, In grazia di Dio si rivela essere l'ennesima piccola perla di cinema italiano contemporaneo purtroppo non premiata dagli incassi.