Sabato 17 ottobre, presso il Teatro Cinema Sociale di Luino alle ore 19, verrà proiettato il film “Rosso Malpelo”, all’interno della rassegna cinematografica “Cineragazzi”. Altri due gli appuntamenti nel mese di ottobre il 24 con il film “La guerra dei bottoni” e il 31 “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano”. L’ingresso, a prezzo ridotto, è di 5 euro. Rosso Malpelo è un film sull’infanzia attraversata e colpita dalla morte, via di fuga per sfuggire un ambiente istintuale e irrazionale, riconquistando lo slancio vitale della fanciullezza. Da Giovanni Verga, così, un’attualissima storia di sfruttamento del lavoro minorile, dallo stile essenziale, simbolico e rigoroso. Girato in Sicilia il film affronta il tema dello sfruttamento del lavoro minorile, che ancora oggi riguarda nel mondo 218 milioni di bambini.
Rosso Malpelo è riuscito a ottenere un tale successo di pubblico attraverso una rete di distribuzione alternativa. Il film indipendente di Pasquale Scimeca è stato proiettato nei cineclub, nelle sale d’essai e soprattutto nelle scuole, e non nel circuito ufficiale dei cinema, dove è piaciuto alla gente e ai ragazzi per la storia, ancora attuale, che racconta, quella di un bambino sfruttato nelle miniere.
La pellicola narra la vicenda di Rosso Malpelo (così chiamato per il colore dei suoi capelli), un bambino povero, costretto a lavorare in miniera col padre. Un giorno il genitore muore, schiacciato sotto una frana nella galleria, e Malpelo rimane solo, abbandonato dalla madre che si risposa e va a vivere in un altro paese e dalla sorella che va via col suo fidanzato. La sua unica casa diventa così la miniera, dove lavora insieme a tanti altri bambini. Tra questi c’è Ranocchio, il suo amico che presto si ammala. Con la morte di quest’ultimo il protagonista rimane completamente solo, e quando il padrone della miniera (un ingegnere attaccato ai soldi e al profitto) lo manda a lavorare in una galleria lontana e pericolosa, lui ci va, tanto, pensa: “io sono Malpelo, e se muoio nessuno mi cerca”.
Il cinema come etica. Ovvero: l’estetica della trasfigurazione. Nella tragedia più bella e sublime della storia dell’umanità, un innocente, prima di essere condannato a morte dal potere imperiale, riunisce i suoi discepoli, umili uomini del suo popolo, e gli dice: questo è il pane dell’abbondanza e questo è il vino dell’allegria, ogni volta che mangerete e berrete, ricordatevi di me. Questo semplice gesto d’amore verso i suoi amici, nel momento in cui è diventato parola scritta, quindi letteratura, dramma collettivo, arte e simbolo, si è trasfigurato in qualcosa di eccezionale. La fine è diventata principio. Inizio di una nuova era. Punto centrale di una liturgia sulla quale si è costruita una chiesa, una civiltà, una magia che si ripete sempre uguale a se stessa ma che rinnova in continuazione, arricchendola, la vita degli uomini. L’estetica della trasfigurazione in Rosso Malpelo è nel film che inizia non appena finisce e nel buio della sala scorrono i titoli di coda. Il sacrificio in realtà è redenzione. La fine che si ripete come un rito e si trasforma in pane e vino. Pane per sfamare e sanare il corpo, vino per nutrire la mente e lo spirito. Gli innocenti, per ora sono solo mille bambini, che avranno nutrimento, saranno curati e potranno andare a scuola grazie al fatto che ogni volta che il film finisce e la sala si svuota si ripeterà la magia della trasfigurazione in nuovo pane e nuovo vino. Tutto il resto sparisce, diventa ininfluente, è da quel punto che inizia il vero film, quello di una realtà di dolore che si apre a uno spiraglio, e se solo uno di questi bambini avrà voglia di ridere, di affrontare la vita e battersi per sé e per gli altri, allora anche il cinema potrà affermare (e giustificare) la sua esistenza e diventare etica, mistica e estetica di un arte fuori dalla merce e dal fango in cui sembra sempre di più voler cadere e macerarsi.