È uno dei capisaldi della letteratura italiana del Novecento, uno degli autori imprescindibili per calarsi nella realtà del nostro Paese. “Il romanzo che abbiamo tutti sognato” scrisse Calvino de Una questione privata, tra i pochi suoi libri ad essere usciti durante la sua breve vita. Nato nel 1922, morì nel 1963. Cinquanta anni fa.
“Scrivo per un’infinità di motivi. [..] Non certo per divertimento. Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti. Scrivo with a deep distrust and a deeper faith.”
LA VITA,da Wikipedia
Primogenito di tre figli, Beppe nacque ad Alba nelle Langhe il 1º marzo 1922 da Amilcare, garzone di macellaio di fede socialista e seguace di Filippo Turati, e da Margherita Faccenda, donna di forte carattere che ambiva per i suoi figli una vita migliore della propria. Nel 1928 il padre riuscì a mettersi in proprio, acquistando una macelleria in piazza del Duomo che gli fornì buoni proventi.
Da bambino, Beppe frequentò la scuola elementare “Michele Coppino” di Alba e si dimostrò un bambino intelligente e riflessivo, anche se affetto da lieve balbuzie. Terminate le scuole elementari, la madre, su consiglio del maestro e malgrado le persistenti ristrettezze della famiglia, iscrisse il figlio al Liceo Ginnasio “Govone” di Alba. Successivamente si trasferì per un breve periodo a Cantello dove visse alcuni anni della sua adolescenza e dove lavorò nei campi d’asparagi come contadino.
Alunno modello e appassionato della lingua inglese, fu lettore vorace e iniziò anche alcune traduzioni, che dovevano rivelarsi le prime di una lunga serie. Al liceo ebbe come insegnanti professori illustri e per lui indimenticabili, come Leonardo Cocito, insegnante di lingua italiana, che aderì tra i primi alla Resistenza e fu poi impiccato dai tedeschi il 7 settembre del 1944, e Pietro Chiodi, docente di storia e filosofia, grande studioso di Kierkegaard e di Heidegger, in seguito partigiano, compagno di Cocito stesso, e che invece fu deportato in un campo di concentramento tedesco.
Nel 1940 si iscrisse alla facoltà di Lettere dell’Università di Torino, che frequentò fino al 1943, quando fu richiamato alle armi e indirizzato prima a Ceva (Cuneo) e poi a Pietralata (Roma), al corso di addestramento per allievi ufficiali.
La vita partigiana
« Lo spettacolo dell’8 settembre locale, la resa di una caserma con dentro un intero reggimento davanti a due autoblindo tedesche not entirely manned, la deportazione in Germania in vagoni piombati avevano convinto tutti, familiari ed hangers-on, che Johnny non sarebbe mai tornato »
(da “Il partigiano Johnny”)
Dopo lo sbandamento seguito all’8 settembre 1943, Fenoglio nel gennaio del 1944 si unì alle prime formazioni partigiane. In un primo momento si aggregò ai “rossi” delle Brigate Garibaldi, ma presto passò con gli autonomi o badogliani del 1º Gruppo Divisioni Alpine comandata dal Enrico Martini “Mauri” e della sua 2ª Divisione Langhe, brigata Belbo, comandata da Piero Balbo “Poli” ed operante nelle Langhe, tra Mango, Murazzano e Mombarcaro. Partecipò allo sfortunato combattimento di Carrù e all’effimera esperienza della Libera Repubblica partigiana di Alba, indipendente tra il 10 ottobre e il 2 novembre 1944.
Il dopoguerra
Alla fine della guerra, Fenoglio riprese per un breve tempo gli studi universitari prima di decidere, con grande rammarico dei genitori, di dedicarsi interamente all’attività letteraria. Nel maggio del 1947, grazie alla sua ottima conoscenza della lingua inglese, fu assunto come corrispondente estero di una casa vinicola di Alba. Il lavoro, poco impegnativo, gli permise di contribuire alle spese della famiglia e di dedicarsi alla scrittura.
Nel 1949 comparve il suo primo racconto, intitolato Il trucco e firmato con lo pseudonimo di Giovanni Federico Biamonti, su Pesci rossi, il bollettino editoriale di Bompiani. Nello stesso anno presentò a Einaudi i Racconti della guerra civile e La paga del sabato, romanzo che ottenne un giudizio molto favorevole da Italo Calvino. Nel 1950 conobbe a Torino Elio Vittorini, che stava preparando per Einaudi la nuova collana “Gettoni”, ideata per accogliere i nuovi scrittori; nella stessa occasione Fenoglio conobbe di persona Calvino (con il quale aveva intrattenuto fino a quel momento solamente una cordiale corrispondenza) e Natalia Ginzburg.
Incoraggiato da Vittorini, riprese La paga del sabato e ne attuò una nuova stesura, ma a settembre abbandonò definitivamente il romanzo per organizzare una raccolta di dodici racconti, alcuni dei quali già inclusi nei Racconti della guerra civile. Nel 1952 la raccolta di racconti uscì, nella collana “Gettoni”, con il titolo I ventitré giorni della città di Alba. L’anno seguente Fenoglio completò il romanzo breve La malora, pubblicato ad agosto 1954.
Seguì un’intensa attività come traduttore dall’inglese: nel 1955 uscì sulla rivista Itinerari la traduzione de La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge. Iniziò intanto un grosso romanzo sugli anni 1943-1945, che presentò in lettura all’editore Garzanti nell’estate del 1958. Nell’aprile del 1959 uscì, nella collana “Romanzi Moderni Garzanti”, Primavera di bellezza; firmò con Livio Garzanti un contratto quinquennale sui suoi inediti. Nello stesso anno ricevette il premio “Prato” e iniziò a scrivere un nuovo romanzo di argomento partigiano.
Nel 1961, stimolato da Calvino a raccogliere i suoi nuovi racconti per presentarli al premio internazionale “Formentor”, si mise a lavorare alla raccolta Racconti del parentado; alla firma del contratto con Einaudi, tuttavia, accettò il titolo di Un giorno di fuoco. La pubblicazione fu però sospesa: Garzanti rivendicava i diritti e le due case editrici non riuscirono a raggiungere un compromesso. Iniziò così a scrivere Epigrammi e una nuova serie di racconti, oltre alla collaborazione a una sceneggiatura cinematografica di tema contadino.
La vita privata
Nel 1960 si sposò civilmente con Luciana Bombardi, che conosceva già dall’immediato dopoguerra, e compì il viaggio di nozze a Ginevra. La moglie gli sopravvisse per quasi 50 anni, morendo solo nel 2012 ad Alba. La figlia Margherita nacque il 9 gennaio del 1961; per l’occasione, Fenoglio scrisse due brevi racconti, La favola del nonno e Il bambino che rubò uno scudo.
La malattia e la morte
« Sempre sulle lapidi, a me basterà il mio nome, le due date che sole contano, e la qualifica di scrittore e partigiano »
(da “I ventitré giorni di Alba”)
Nell’inverno tra il 1959 e il 1960, in seguito a un esame medico, gli venne accertata un’infezione alle vie aeree, con complicazioni dovute alla forma di asma bronchiale che lo affliggeva ormai da anni che era degenerata in pleurite, a causa dell’eccessivo vizio del fumo.
Nel 1962, mentre si trovava in Versilia per ritirare il premio “Alpi Apuane” conferitogli per il racconto Ma il mio amore è Paco, venne colpito da un attacco di emottisi. Rientrato precipitosamente a Bra, a una visita medica gli venne diagnosticata una forma di tubercolosi con complicazioni respiratorie.
Si trasferì per un breve periodo (settembre e ottobre) a Bossolasco, a 757 metri d’altitudine, dove trascorse il tempo leggendo, scrivendo e ricevendo la visita degli amici. Ma presto per un aggravamento della malattia fu ricoverato in ospedale, prima a Bra e poi alle Molinette di Torino, e gli venne diagnosticato un cancro ai bronchi. Ogni cura risultò inutile: in pochi mesi lo scrittore peggiorò irreversibilmente. Durante gli ultimi giorni fu costretto a comunicare con un foglietto poiché venne tracheotomizzato a causa dei problemi respiratori.
La morte lo colse, dopo due giorni di coma, la notte del 18 febbraio 1963; venne sepolto nel cimitero di Alba con rito civile, con poche parole dette sulla tomba dal sacerdote don Natale Bussi, amico ed ex professore di liceo. Il suo romanzo più noto, Il partigiano Johnny, fu pubblicato postumo nel 1968.
Nel 2001 è stato istituito a Mango il percorso letterario intitolato “Il paese del partigiano Johnny”. Altri itinerari fenogliani sono stati istituiti, in seguito, a Murazzano e a San Benedetto Belbo, dove sono ambientati alcuni dei racconti di Langa più intensi e significativi. Il 10 marzo 2005, all’Università di Torino, a questo scrittore è stata conferita la “Laurea ad honorem” in Lettere alla memoria, segno della fortuna in gran parte postuma della sua opera letteraria.
(Dall’intervista a Beppe Fenoglio di Gino Nebiolo, “Gazzetta del Popolo”, 9 ottobre 1962).
Le sue opere:
I ventitré giorni della città di Alba, Einaudi, Torino, 1952
La malora, Einaudi, Torino 1954
Primavera di bellezza, Garzanti, Torino, 1959
Pubblicate postume
Un giorno di fuoco, Garzanti, Milano, 1963
Una questione privata, Garzanti, Milano, 1963
Il partigiano Johnny, Einaudi, Torino, 1968
La paga del sabato, a cura di Maria Corti, Einaudi, Torino, 1969
Un Fenoglio alla prima guerra mondiale, Einaudi, Torino, 1973
La voce nella tempesta, adattamento teatrale di Cime tempestose, a cura di Francesco De Nicola, 1974
L’affare dell’anima e altri racconti, Einaudi, Torino, 1980
La sposa bambina, tratto dalla raccolta “Un giorno di fuoco”, Einaudi, Torino, 1988
L’imboscata, Einaudi, Torino, 1992
Appunti partigiani 1944-1945, a cura di L. Mondo, Einaudi, Torino 1994
Quaderno di traduzioni, a cura di Mark Pietralunga, Einaudi, Torino, 2000.
Lettere 1940-1962, a cura di Luca Bufano, Einaudi, Torino in collaborazione con la Fondazione Ferrero di Alba, 2002
Una crociera agli antipodi e altri racconti fantastici, a cura di Luca Bufano, Einaudi, Torino, 2003
Epigrammi, a cura di Gabriele Pedullà, Einaudi, Torino, 2005
Tutti i racconti, a cura di Luca Bufano, Einaudi, Torino, 2007
una sua frase, una citazione di Beppe Fenoglio tratta dalla sua opera Il partigiano Johnny
“Forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull’ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l’importante: che ne restasse sempre uno. Scattò il capo e acuì lo sguardo come a vedere più lontano e più profondo, la brama della città e la ripugnanza delle colline l’afferrarono insieme e insieme lo squassarono, ma era come radicato per i piedi alle colline. – I’ll go on to the end. I’ll never give up.”
due libri per conoscere meglio Beppe Fenoglio
La strada più lunga – sulle tracce di Beppe Fenoglio, Gabriele Pedullà, Donzelli
Secondo De Sanctis nella storia esistono momenti privilegiati in cui agli uomini è concesso di scrutare il proprio passato con una chiarezza e una capacità di discernimento altrimenti ad essi interdette. Da una convinzione in fondo non dissimile prende le mosse anche questo libro – dall’idea, cioè, che l’intera opera di Beppe Fenoglio possa essere compresa davvero soltanto a patto di osservarla attraverso il filtro del suo libro più compiuto e maturo, cioè Una questione privata.A fronte di una critica che si è concentrata quasi unicamente su problemi linguistici e filologici, il saggio di Gabriele Pedullà propone una lettura capillare dell’ultimo romanzo di Fenoglio, scelto come passe-partout per tutta la sua produzione narrativa. Mettendo insieme i frammenti sparsi nei diversi racconti, nel diario e negli scritti di gioventù, La strada più lunga arriva così a ridisegnare il profilo dello scrittore piemontese, sfatando alcune leggende critiche dure a morire, come quella dell’espressionismo de Il partigiano Johnny, o mettendo in luce l’importanza di un sottotesto fantastico e soprannaturale che attraversa tutto il romanzo.In questa ricognizione dei suoi veri ascendenti culturali (non più solo la letteratura anglosassone), un ruolo tutto speciale nella formazione di Fenoglio viene riconosciuto alla problematica filosofica e teologica, e in particolare all’influsso determinante di Pietro Chiodi e dell’esistenzialismo francese. Una questione privata diventa così anche un pretesto per interrogarsi sulla comunicazione indiretta e sul senso di colpa dei reduci, sui paradossi delle traduzione e sull’essenza voyeuristica del cinema, sulla paternità e sull’educazione delle donne, su Edipo e su Orfeo, sull’Apocalissi e sul perdono.Ma soprattutto La strada più lunga è un avvincente e leggibilissimo racconto critico, una meticolosa indagine nelle pieghe del testo e della coscienza, che contribuisce a rivelare un Fenoglio inedito proprio nel momento in cui lo scrittore di Alba conosce un significativo ritorno di popolarità e interesse.
PIERO NEGRI SCAGLIONE
QUESTIONI PRIVATE
Vita incompiuta di Beppe Fenoglio
Ed. Einaudi 2006
Con scrittura chiara e narrata, e un montaggio quasi cinematografico, Piero Negri Scaglione ci offre non solo la prima biografia di Fenoglio che ricostruisce esattamente la cronologia della sua vita (e delle opere), ma anche un vivido ritratto di Alba, delle Langhe e di un’Italia remota. Tanto che, leggendo queste pagine, sembra di respirare la stessa atmosfera di un inedito romanzo dell’autore del Partigiano Johnny.
«Il piú solitario di tutti noi, Beppe Fenoglio, riuscí a fare il romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno piú se lo aspettava, Una questione privata». Quando Italo Calvino scrive queste righe è il 1965, Fenoglio è morto due anni prima, a quarant’anni, dopo aver pubblicato tre libri: I ventitre giorni della città di Alba, La malora, Primavera di bellezza. Ma il destino un po’ beffardo di essere un autore piú che altro postumo non è l’unico interesse di una vita cosí insolita nel mondo delle lettere italiane.
Beppe Fenoglio nacque ad Alba, nel Piemonte piú profondo e vero, nell’anno della Marcia su Roma, il 1922. Era figlio di un macellaio del centro storico, frequentò il glorioso liceo classico della città perché un maestro elementare ne intuí le doti e sua madre gli credette. Scoprí cosí la letteratura, il teatro, la poesia, soprattutto quella degli autori di lingua inglese, e cominciò presto a creare un mondo immaginario in cui l’amore per la sua terra, le Langhe, si alimentava del fascino per culture e luoghi lontani, nel tempo e nello spazio. Arrivò la guerra, che lo strappò agli studi e gli cambiò la vita. Prima militare (fu allievo ufficiale del regio esercito), poi partigiano, visse fino in fondo l’avventura della nascita della nuova Italia. Tornò alla vita civile con l’unico desiderio di dedicarsi alla scrittura, ma, dovendo trovare un lavoro, finí in una cantina di Alba che produceva vermouth e spumanti. E poi, all’inizio degli anni Cinquanta, il manoscritto di un suo romanzo approda all’Einaudi, sulla scrivania di Italo Calvino.