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CINQUANTA SFUMATURE DI GRIGIO di Sam Taylor-Johnson (2015)

Creato il 12 febbraio 2015 da Ifilms
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Scritto da Giuseppe Paternò di Raddusa
Categoria principale: Le nostre recensioni
Categoria: Recensioni film in sala
Pubblicato: 12 Febbraio 2015
50 sfumature di grigio   Sam Taylor-Johnson   Jamie Dornan   Dakota Johnson  

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Nessuno si aspettava grandi cose da 50 sfumature di grigio. C’è un pizzico di snobismo, in questa sentenza, ma è anche vero che lo snobismo rappresenta – forse – l’unica arma di difesa nei riguardi di quello che l’intera operazione rappresenta.

Non si vuole giocare a scatenare facili allarmismi, ma purtroppo il libro – e il film – sono esistenti, hanno venduto milioni di copie e attireranno sicuramente più di venticinque spettatori in sala.

Chi scrive non ha letto i libri della saga 50 shades of della britannica E.L. James, limitandosi ad aggirare pigramente il fenomeno da un lato e le proteste dei detrattori dall’altro. Se il film riflette quanto “racchiuso” negli universi della James, però, siamo messi male. Sul serio.

Parlare di cinema, messaggi e morale, oggidì, è come attraversare un campo minato sapendo già che salterai in aria senza possibilità di salvezza alcuna. È altresì vero, però, che 50 sfumature di grigio uscirà nelle sale italiane in 1000 (mille) copie. E che si tratta di un film in cui una giovane donna bellissima - e accademicamente preparata, va detto - cede senza troppi problemi alle psicosi di un maniaco sessuale bello, ricco e con la vocazione a fare bei regali (macchine, voli in elicottero, personal computer).

Ci provano, ci provano in tutti i modi a farci capire come lui sia uno psicotico che nasconde tenebre di dolorosa intensità, come lei sia attratta inspiegabilmente da questo maniaco dal cuore d’oro, come il loro sia un rapporto in divenire – e il sequel è chiaramente già in arrivo.

Il film, diretto dalla Sam Taylor-Johnson del già mediocre Nowhere Boy, è esattamente come ci si aspetta che sia: patinato, lezioso, petulante e noiosamente ingrigito tra i grattacieli di una metallica Seattle. Finirebbe anche lì, se non ci fosse un retrogusto etico di fattura respingente, disgustosa, e repellente

Ci sono questioni che valicano i limiti garantiti dall’erotismo soft, dalla incessante prurigine e dalla laccata impostazione di fondo (quella che, per essere chiari, potremmo definire da capezzolo inturgidito) raccontati dalla trasposizione cinematografica di quello che viene lanciato e considerato caso letterario e cinematografico più ammaliante (sic!) degli ultimi anni.

1000 sale per capire quanto prestigio e ricchezza possano oscurare ogni forma di crudeltà e di violenza rappresentano esse stesse crudeltà e violenza. Verso un pubblico che non merita giovani donne che decidono arbitrariamente di farsi frustare, o rampanti uomini d’affari che obbligano la propria partner a sottoscrivere contratti di sottomissione. La visione dell’umanità offerta dal film della Taylor-Johnson è pietosa, superficiale, e tragicamente sessista. Quasi medievale, verrebbe da dire: in nome di un classismo pericoloso e tonitruante, la protagonista (Dakota Johnson, figlia di Melanie Griffith e Don Johnson) si lascia titillare dal businessman di bell’aspetto (Jamie Dornan), che le regala una bella macchina e sguardi languidi, e che però la prende a scudisciate previo tacito consenso. «Cosa ci guadagno?», chiede lei, in uno dei pochi momenti di lucidità che la riguardano. «Me», risponde quasi sbalordito lui. E lei diventa così la Sottomessa (sic!, x 2), colei che compiace e serve un uomo facoltoso solo per il piacere di averlo a sé. Nauseante.

La cosa realmente preoccupante è che questo fenomeno ha accalappiato migliaia di ammiratrici, in tutto il globo terracqueo. E che anche il filmetto che ne hanno tratto, nemmeno pessimo, eccezion fatta (e hai detto niente…) per il messaggio (sì, il messaggio, in questo caso va detto) che lancia, si prepara a macinare incassi su incassi. E che la maggior parte del suo pubblico sarà costituito da donne che dovrebbero per un attimo dire «no» di fronte a tutta questa idiozia. E non c’è bisogno di scomodare gli spettri illustri di Mary Wollestonecraft o Dolores Ibarruri per capire come tutto questo, oggi, sia inaccettabile. È un discorso che va ben oltre il cinema d’evasione, oltre il titillamento, oltre ogni confezione lussuosa e patinata. No, basta, continuare a scriverne è ancora più imbarazzante dell’operazione stessa. Meriteremmo altro. E invece no. 1000 sale.

Voto: 1/4

 


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