Capirete bene, dunque, che non abbia saputo resistere alla tentazione di scegliere cinque dischi per i robot.
1. Kraftwerk – The robots
No, non sono robot sul serio, ma persone vere. Anche se di questo ho sempre dubitato. Non riesco proprio a immaginare nessuno dei Kraftwerk intento a tagliare la siepe in giardino, o a cambiare una lampadina, o in fila alla cassa dell’Esselunga. Loro sono dei veri robot, per me, e finché non riceverò prove contrarie, continuerò a crederci. Questo brano fa parte di un disco (bellissimo) intitolato “The man machine” (poi non dite che sono paranoica, sono loro che insistono sul fatto di essere androidi!), che risale al 1978, ma vi assicuro che non è invecchiato affatto.
2. The Styx – Mr. Roboto
Domoarigatto misutarobatto! No, non sono impazzita, è che la parte che più si ficca in testa di questa canzone degli Styx è proprio la parte in giapponese. La canzone si abbina a un video che personalmente ho sempre trovato un po’ inquietante; non che le parole “Ti stai chiedendo chi io sia (segreto, segreto, ho un segreto)” lo siano meno. Per non parlare della tutina lilla indossata da Tommy Shaw. La canzone fa parte del concept album “Kilroy was here”: nel video di Mr. Roboto, Kilroy veste i panni di Roboto, ma non posso dirvi di più. Sono fortemente contraria agli spoiler, anche sui dischi.
3. Alberto Camerini – Rock ‘n’ roll robot
Forse qualcuno di voi, cari lettori più gggiovani (rigorosamente con tre “g”), conosce questo pezzo nella versione degli Üstmamò (potete ascoltarlo qui), ma io preferisco la versione originale, non me ne voglia nessuno: Alberto Camerini vince. In questo video indossa una blusa non meglio identificata, che richiama fin troppo palesemente il costume di arlecchino, e sembra uscita dall’armadio di Piero Fornasetti. Ma, nonostante sembri che Camerini si sia cosparso di colla e si sia buttato prima in un armadio e poi di faccia sopra una trousse, il suo look faceva parte del ruolo di “Arlecchino elettronico” che si era ricavato nel variopinto panorama degli artisti tra gli anni Settanta e Ottanta. “Rock ‘n’ roll robot” diventò un tormentone formidabile, e ancora oggi è difficile trovare qualcuno che non la conosca. O – ahimè – qualcuno che ricordi altri pezzi di Camerini.
4. David Zed – Balla Robot
A metà strada tra il “Gioca jouer” e l'immortale "una mano en la cintura una mano en la cabeza un movimiento sexy" (o il sempreverde "testa spalla baby one two three"), c'è "Balla robot" di David Zed. David Zed, al secolo David Kirk Taylor, è uno showman e attore americano diventato famoso in Italia (solo negli anni Ottanta, siamo sinceri) grazie a Raffaella Carrà e al suo programma “Pronto Raffaella?”. Tra le sue attività, oltre a suscitare un mix di curiosità e terrore nei bambini (ogni riferimento a ex bambine che stanno scrivendo questo post è puramente casuale), c’era – e non sappiamo se ci sia ancora, ché di Mister Zed non si sa più nulla e noi non vogliamo cercare nulla, per lasciare intatto il suo mito – dicevamo, tra le sue attività c’era anche quella di cantante. E “Balla Robot” secondo me è la sua performance migliore (“Figurati le altre”: so benissimo che lo state pensando).
5. Radiohead – Paranoid Android
Chiudiamo con i Radiohead, e non ho scelto “Paranoid Android” solo perché nel titolo si parla di un androide. Infatti, forse non tutti sanno che nella “trilogia in cinque parti” di Douglas Adams, ovvero i cinque libri della “Guida galattica per autostoppisti” (da leggere, tutti), c’è un personaggio meraviglioso chiamato Marvin. Marvin è un robot super intelligente, il più intelligente di tutti, ma tanto è sconfinata la sua intelligenza, altrettanto sconfinata è la sua frustrazione. Pensateci: se si è i più intelligenti dell’universo, è inevitabile sentirsi costantemente circondati da stupidi. Finisce così che l’enorme cervello di Marvin è impiegato per lo più a preoccuparsi di quanto lui sia incompreso, solo, e depresso. L’effetto è deliziosamente comico, e Marvin viene definito da alcuni suoi compagni di avventura “l’androide paranoico”, cioè “the paranoid android” (anche se persino sviluppare paranoie è un’attività per cui non vale la pena impegnare un cervello così mastodontico).
Paranoici, arlecchineschi, plastificati, tedeschi, o giapponesi: siamo sicuri che a Robot Land – se davvero prenderà forma – ci saranno robot di ogni tipo, e anche di più. Conserviamoci questa playlist per farci compagnia in un viaggetto in Corea tra un paio d’anni…