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Cinque domande ad Alfredo Colitto, autore de “I discepoli del fuoco”. Edizioni Piemme
Creato il 10 maggio 2010 da Rita Charbonnier @ritacharbonnierI discepoli del fuoco (Piemme, in libreria dallo scorso febbraio) è il secondo romanzo di una trilogia noir, ambientata nel Medioevo e iniziata con Cuore di ferro (Piemme, 2009, da poco uscito nella collana bestseller) che ha come protagonista il personaggio di Mondino de’ Liuzzi, medico e professore. Siamo a Bologna nel 1312. Un membro del Consiglio degli Anziani viene ritrovato carbonizzato in casa sua, eppure nella stanza nulla fa pensare a un incendio. Mondino de’ Liuzzi, medico anatomista, sollevando con il coltello da dissezione la pelle bruciata del braccio scopre i resti di un tatuaggio: un mostro alato, con la testa di leone e il corpo avvolto nelle spire di un serpente. Seguendo la strada del misterioso simbolo, scoprirà l’esistenza di una setta che minaccia di bruciare tutta la città per purificarla dal peccato...
1. Alfredo, che cosa ti ha spinto a scrivere questo nuovo romanzo? Fin dall’inizio avevi in mente il progetto della trilogia?
L’idea della trilogia mi è venuta mentre scrivevo Cuore di Ferro. Il fatto è che mi ero affezionato ai personaggi e mi dispiaceva abbandonarli dopo un libro solo. Al terzo romanzo, spero che il distacco sarà meno duro…
In quanto a cosa mi ha spinto a scrivere I discepoli del fuoco, mi intrigava l’idea di immaginare cosa sarebbe successo se, in pieno medioevo cristiano, fosse riemersa un’antica setta di adoratori di Mithra, la religione che per secoli era stata rivale del cristianesimo. Poiché Mithra è un dio del sole e del fuoco, gli omicidi (visto che si tratta di un thriller) dovevano essere attinenti. Ma l’idea di persone bruciate da un fuoco esterno mi sembrava poco interessante, così ho deciso di complicarmi la vita immaginando che bruciassero “dall’interno”. Poi, quando si è trattato di spiegare come, ho penato parecchio, finché, scomodando Eudosso di Cnido, Aristotele e la musica delle sfere, ho trovato una spiegazione compatibile con i parametri logici dell’epoca.
2. Potresti darci una tua definizione di “romanzo storico”?
Per me un romanzo si può definire “storico” quando è ambientato in un’epoca abbastanza lontana, della quale non sopravviva più nessuno. Per esempio, un romanzo ambientato durante la prima guerra mondiale lo definirei storico, uno ambientato durante la seconda guerra mondiale no. Ma si tratta di definizioni arbitrarie. La cosa che più definisce il romanzo storico è forse il fatto che in esso c’è un’attenzione particolare alla ricostruzione di un’epoca, attraverso le vicende narrate, il modo di essere dei personaggi, i costumi sociali, gli oggetti, i vestiti, i mezzi di trasporto, eccetera.
3. Quanto c’è di vero e quanto di inventato, nelle tue storie?
Di vero c’è la ricostruzione dell’epoca, sia da un punto di vista urbanistico e ambientale che di pensiero. È una cosa nella quale cerco di essere il più rigoroso possibile. Di inventato ci sono la maggior parte dei personaggi, le loro vicende e interazioni reciproche, nonché i misteri dei quali il protagonista cerca la soluzione. La combinazione di fantasia e rigore storico è forse la cosa che mi affascina di più in questo tipo di romanzi.
4. Quali sono invece, secondo il tuo modo di vedere, le caratteristiche specifiche del “noir”?
Direi che le caratteristiche del noir sono soprattutto tre:
1) Presenza di tensione a causa di uno o più omicidi.
2) Un’indagine da parte del protagonista per scoprire chi è stato.
3) Attenzione dello scrittore rivolta più alle motivazioni e alla psicologia dei personaggi che alla soluzione del mistero.
Definendo il noir in contrapposizione al giallo, si potrebbe dire che nel giallo la domanda principale è: “Chi è stato?”, mentre nel noir sarebbe: “Perché l’ha fatto, e cosa spinge il protagonista a volerlo scoprire?”
Ciò detto, ci tengo a precisare che non amo le etichette. Soprattutto in quest’epoca di contaminazione tra i generi, finiscono per creare più confusione che chiarezza. La vecchia distinzione dei libri in due categorie, belli e brutti, è ancora quella che mi dà più soddisfazione.
5. Tu tieni corsi di scrittura creativa a Bologna, la città nella quale vivi. Che cosa si può effettivamente insegnare a un aspirante scrittore, e che cosa non si può insegnare?
Quello che si può insegnare è la tecnica. Se uno vuole imparare a suonare il pianoforte, per esempio, va a lezione di musica. Se vuole imparare a dipingere va a studiare presso un pittore, o frequenta il liceo artistico. Se vuole scrivere romanzi, perché non frequentare un corso per imparare a organizzare le idee, a sviluppare intrecci e personaggi, eccetera?
Poi ci sono sempre quelli che, pur non frequentando nessun corso, suonano, dipingono o scrivono benissimo. Ma lo studio è sempre utile e stimolante.
Quello che non si può insegnare, invece, è il talento. La tecnica da sola non basta, come non basta un libro di ricette per trasformarsi in un grande chef…
Grazie, Alfredo! E per maggiori informazioni potete visitare il sito ufficiale dell’autore. Se invece desiderate incontrarlo di persona, e farvi firmare la vostra copia de I discepoli del fuoco, potete recarvi al Salone Internazionale del Libro di Torino sabato 15 maggio alle ore 16,00 presso lo stand di Edizioni Piemme. Sito del Salone: www.salonelibro.it
Thriller Magazine intervista Alfredo Colitto
“I discepoli del fuoco” si può ordinare su:
* Bol.it
* laFeltrinelli.it
* Deastore.com.
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