I porti del mondo si assomigliano tutti, c’è una pace solida, ogni cosa è ferma, sembra che le navi siano ancorate dalla notte dei tempi. Il paesaggio dei porti è una perenne fotografia statica. Anche nel porto di Cagliari, all’alba, tutto è immobile. Passo veloce in taxi davanti ai portici di via Roma, tra i bastioni del porto e il vago liberty dei palazzi, queste facciate che mi ricordano la nobiltà rappezzata di qualche trasognata città latinoamericana. Il cielo a quest’ora è basso e terribile, scuro nella sua fissità, sono giorni di maestrale, e io ho ancora la faccia tumefatta di vento e una stanchezza nel corpo che mi sembra di avere le tasche piene di pietre. Il tassista corre veloce, troppo per i miei gusti. Quando è arrivato a prendermi abbiamo scambiato poche parole, dalla voce si direbbe che venga dal nord, non ho grande dimestichezza coi dialetti del nord, non sono abile a riconoscerne le sfumature. Ha caricato i bagagli e ha fatto una telefonata veloce. Sono lì fra cinque minuti, ha detto con la voce grave. Ora, a giudicare dalla forza con cui preme il piede sull’acceleratore, immagino stia cercando di tener fede alla sua promessa. La persona che lo aspetta dev’essere all’aeroporto, è lì che sono diretto io, non c’è possibilità che sia in un altro posto. A meno che non si tratti di un’imboscata, anche se non so immaginare bene il motivo per cui io dovrei essere la vittima di un’imboscata. Forse dall’altra parte del telefono c’era una canaglia con cui il tassista ha contratto un grosso debito, un criminale con cui adesso dovrà fare i conti, o forse un’amante segreta che sta fuggendo da lui, che magari aspetta un minuto ancora prima dell’imbarco per un volo che la porterà via per sempre da questa città e da questo amore. È una corsa, quella del tassista, che in effetti dura esattamente cinque minuti, come la sua promessa, tra i lenti autobus urbani e le poche macchina della gente che va a lavorare così presto. Quando arriviamo all’aeroporto lui scende di corsa, apre il portellone posteriore e scarica i miei bagagli sul marciapiede. Pago la corsa, mi accosto da una parte a riordinare le mie cose, mentre lui riparte, smanioso, impaziente, pieno di un’agitazione frenetica, anche il suo sangue freme. Non saprò mai nulla del suo appuntamento all’alba nell’aeroporto di questa città battuta dal vento, perché io sono qui, semplicemente questo, un piccolo viaggiatore che si interroga sull’assoluta invisibilità delle nostre vite.
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Collette Nys-Mazure, Estratto da VITA DELLA SCRITTURA
Il violino delle parole si estenua
usando le sue corde acute
a gridare altre vie
a creare altri paesaggi
con le orecchie chiuse
vanno gli uomini ebbri morti
tra le mura quotidiane
pronti a sprofondare
il sogno prenderà corpo
i pavimenti si solleveranno
la vita sorgerà senza modi