Cinquemila Chilometri al secondo

Creato il 21 settembre 2013 da Eymerich

Tre ragazzi, tre storie, tre mondi che si intrecciano attraverso i disegni e soprattutto i colori fortemente espressivi di Manuele Fior. 


Appena ho preso in mano questo libro ne sono rimasta fortemente affascinata, ho scorso velocemente le pagine ed un turbine di colori mi ha avvolto e con esso una miriade di sensazioni inconsce ed inspiegabili. Cinquemila Chilometri al secondo è un'opera che colpisce dritta all'anima, diretta allo stomaco. 
Frammentata nello spazio e nel tempo ricostruisce le vite di tre ragazzi attraverso stralci di memoria, attimi, sogni, luoghi in cui dall'esterno il lettore può sbirciare. Le parole sono essenziali, mai troppe, il numero esatto poichè le immagini parlano spesso da sole, non solo per comunicarci gli eventi che vanno dall'adolescenza all'età matura, ma sopratutto per immergerci in sensazioni, ansie, paure e gioie. 

Il primo frammento risale all'adolescenza, l'incontro tra i tre giovani Pietro, Nicola e Lucia. Fin da subito emerge il tema del viaggio, Lucia sta infatti traslocando con la madre dopo la separazione dei genitori. Da qui all'improvviso voliamo ad Oslo con Lucia, poi in Egitto con Pietro e li vediamo crescere, non sappiamo quanto tempo sia trascorso, cosa sia successo nel frattempo, ma non è importante perchè tutto emerge attraverso il loro comportamento. Solo la pioggia sembra scadenziare il passaggio del tempo e così tra una sequenza e l'altra troviamo prima una, poi due, tre, quattro, cinque gocce che ci portano ad un temporale, la fine del nostro sbirciare nelle vite altrui. Ci viene regalato un'altro piccolo spezzone, un ricordo di giovinezza solo narrato attraverso la voce di Lucia in precedenza.
In questa storia di viaggi, spostamenti e radici ci sentiamo molto vicini e partecipi, perchè rispecchia la condizione delle generazioni attuali. Pietro e Lucia, brillanti studenti si trovano a dover lasciare la propria casa per perseguire le proprie carriere ed i propri studi. Nicola, invece, dopo la maturità entra nell'impresa famigliare ed inizia a lavorare nel magazzino del padre, rimanendo quindi tutta la vita ancorato alle proprie radici, come in attesa del ritorno di Lucia. L'autore riesce tuttavia a farci percepire perfettamente i problemi e le paure del distacco, del vivere in un posto che non si sente di possedere. Lucia infatti decide di spostarsi per gli studi ad Oslo essenzialmente per fuggire, per sentirsi libera da una situazione che non era in grado di affrontare, lascia così al tempo il compito di logorare la propria relazione con Pietro. Tuttavia la felicità che troverà sarà solo momentanea e presto sentirà il bisogno di tornare a quella che lei chiama realmente casa, anche se come dirà lei stessa "peggio di partire, c'è solo tornare". Il viaggiare di Lucia è più che altro un fuggire di fronte ai problemi o alle decisioni difficili. Molto differente è invece Pietro, il quale va in Egitto come archeologo. La sua è una carriera brillante che lo porta a stare lontano dalla famiglia in una terra che tuttavia non può appartenergli. Si trova inoltre ancora legato a Lucia che, nonostante il passato, non riuscirà mai a dimenticare totalmente. Questa situazione lo porta ad essere come in un limbo, è infatti ormai scisso dal paese natio, ma non può comunque appartenere a quello ospitante, dove è sempre visto come estraneo, si trova quindi senza una vera "casa". Questa situazione potrà solo essere mitigata attraverso il trasferimento di tutta la famiglia in Egitto, ma mai risolta.
Dal punto di vista grafico sicuramente quest'opera risulta particolarmente interessante. Le sequenze sono scandite dal cambio dei colori così come i cambiamenti di luogo o tempo. Inoltre le scelte cromatiche puntano maggiormente sull'emotività rispetto al realismo. Il sogno viene così realizzato attraverso l'uso di tinte monocromatiche ed ambientazioni metafisiche che ci rimandano ai quadri di De Chirico. In questo modo siamo subito coscenti dell'irrealtà della situazione senza l'uso di parole o spiegazioni. 

Anche gli altri spezzoni utilizzano un numero limitato di tinte che si accostano attraverso macchie di colore sulle tavole. Non possiamo non fare caso all'influenze della corrente italiana macchiaiola e di Cezanne, in particolare le serie di dipinti del Monte Sainte Victoire con le campiture piatte e le sue scelte cromatiche, su questo stile di rappresentazione. Inoltre il tratto molto spigoloso non può non farci rivedere alcuni tratti picassiani. Gli occhi in particolare dei ragazzi riportano alla mente i volti cubisti di Picasso. Nelle scene notturne sembrano emergere nell'uso dei colori e nella deformazione dei volti le influenze dell'espressionismo tedesco. Infine nella sequenza che si svolge in Egitto, realizzata tutta attraverso l'uso delle ocre, i verdi e i marroni si vede una certa affinità con i dipinti del periodo tahitiano di Gauguin, viene sottolineata quindi l'esoticità del posto ed in un certo senso la distanza dalle proprie radici culturali.

Il libro che ci propone Manuele Fior è quindi il dipinto di una generazione precaria anche negli affetti oltre che nel lavoro e nei luoghi. In bilico tra la fuga dalle proprie radici e la ricerca di una solidità famigliare. 

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