Un prelievo del sangue mi costringe ad una levataccia, così eccomi, assonnata e digiuna, sull’80 Express che di primo mattino attraversa Roma, direzione piazza Venezia. Fermata dopo fermata l’autobus si riempie come un uovo di studenti insonnoliti imbacuccati nei loro giubbotti: il loro mondo concentrato nello zaino che svogliatamente pende da una spalla. Più o meno tutti, seduti o in piedi, armeggiano con il cellulare o dalle cuffie ascoltano musica. Una studentessa minuta, lunghi capelli castani, viso acqua e sapone, si distingue dal luogo comune (come canta Vasco) e al posto del telefonino tiene tra le mani Ciò che inferno non è di Alessandro D’Avenia. Assorta, sfoglia il libro, pagina dopo pagina finché l’autobus non la lascia a destinazione davanti al Liceo Giulio Cesare.
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