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Tutto questo è particolarmente vero per chi, come me, ha vissuto la propria fanciullezza negli anni Settanta del secolo scorso. Quelli che hanno i ricordi in bianco e nero, così come in bianco e nero erano le fotografie dell’epoca. Quanti di quei ricordi sono reali? Forse sono solo delle elaborazioni: si osserva una fotografia e, come in un sogno lucido, se ne sviluppano i contorni.Tutto questo discorso per introdurre il post di oggi che è incentrato su una cosa che vidi da bambino e che, per decine di anni, ho solo creduto fosse un falso ricordo dovuto alla mia fervida immaginazione.Nel mio ricordo c’era questo film in bianco e nero. Più che un film c’erano degli spezzoni, delle scene isolate. Era qualcosa che mi aveva certamente terrorizzato, qualcosa che aveva sconvolto a fondo la mia sensibilità di bambino. Qualcosa che mi sarei portato dietro, sotto forma di sensazione, attraverso gli anni e fino al nuovo millennio. Mi ricordavo di un cinema. Ma non ero io ad essere in un cinema. Il cinema era l’ambiente in cui si svolgevano i fatti. Sullo schermo veniva trasmesso un film western. Un film con la classica sparatoria tra i buoni e i cattivi. Al termine della proiezione si accendevano le luci in sala e, tra il panico generale, si scopriva che uno degli spettatori delle prime file era morto. La sparatoria del western aveva evidentemente coperto il rumore dello sparo che lo aveva ucciso. Arrivava la polizia, il pubblico veniva trattenuto in sala e si tentava una ricostruzione dei fatti. Come nei più classici gialli, veniva chiesto a ciascuno di prendere posto nella poltrona che occupava al momento dell’omicidio. Nuova proiezione e nuova vittima.Ho sempre creduto di aver solo immaginato tutto questo. Nessun’altro da me interpellato aveva mai visto o sentito parlare di un film del genere. Non ricordavo nessun particolare, né il titolo, né i nomi o i volti degli attori. Col tempo si era radicata in me la convinzione che mi fossi inventato, o che avessi sognato, tutto. Ne ero convinto al punto che più avanti, mi dicevo, ne avrei scritto un romanzo, che sarebbe diventato un best-seller e da cui, un giorno, qualcuno avrebbe realizzato un film.In realtà un piccolo particolare mi pareva di ricordarlo: il titolo conteneva in qualche modo la parola “circuito”. Ma quale poteva essere il titolo esatto? Forse “Corto Circuito”? Chissà…
Fatto sta che il tempo trascorse e alla fine me ne dimenticai completamente per oltre vent’anni. In tutto quel tempo mai una prova, mai un solo indizio, che mi potesse far capire se quello che avevo ormai rimosso fosse realtà o una mia fantasia. Nulla, in poche parole, che mi potesse far tornare in mente quella… cosa.Un giorno però, senza una precisa ragione, mi tornò in mente. Fu più o meno un anno fa. Oddio. Quelle scene non le avevo dimenticate. Erano soltanto rinchiuse da qualche parte in fondo alla mia testa. Le immagini, è vero, erano molto più sfumate, ma era rimasta in me una indescrivibile sensazione di disagio.Ma la domanda era ancora la stessa: realtà o fantasia? Se fosse stato reale, come mai non ne avevo mai più sentito parlare? Se fosse stato un vero film quello che mi ricordavo, come mai in vent’anni non era mai stato replicato?Il mondo però nel frattempo fortunatamente era cambiato. Era arrivato il World Wide Web! Se il film esisteva, in qualche modo ne avrei trovato traccia. Qualcun altro, uno sconosciuto, magari lontano centinaia di chilometri, avrebbe sicuramente potuto aiutarmi a chiarirmi le idee. La difficoltà è che non avevo molti indizi per una ricerca. Provai così a buttare in Google termini come “Circuito”, “Cinema”, “Settanta”. Niente di rilevante. Con un punto di partenza così misero le possibilità erano esigue. Cominciai a frequentare forum specializzati nel cinema anni Settanta e finalmente qualcuno mi indirizzò su questa pagina di VicoloStretto.net !!! L’avevo trovato! Non era una mia fantasia. Il titolo era “Circuito Chiuso”. La regia di Giuliano Montaldo. La parte del protagonista affidata a Flavio Bucci. Ma certo, come avevo potuto dimenticarlo? Colui che aveva dato il volto a Ligabue nel famoso sceneggiato televisivo (p.s. se qualcuno a questo punto stesse pensando al Ligabue sbagliato, peste lo colga).
La recensione che trovate su VicoloStretto è molto ben fatta ed approfondisce come mai avrei potuto sperare il tema e i retroscena del film. Raccomando a tutti di andarsela a leggere, ma sappiate che, se vi ho incuriosito e se avete una mezza idea di andarvi poi a cercare il film, verrete beffardamente spoilati. In questo caso allora rimanete qui: ve ne parlerò senza rivelarvi l’incredibile finale.Si tratta di un film televisivo che fu presentato fuori concorso al ‘Premio Italia’ del 1978, e trasmesso l’anno successivo sulla seconda rete Rai all’interno del ciclo "Tv cinema - 5 film italiani per la televisione." Tra l’altro il film era a colori, e non in bianco e nero come io lo ricordavo. E qui mi riallaccio a quando detto all’inizio: i ricordi sono spesso delle rielaborazioni della mente.La trama in poche parole: in un cinema di Roma, durante il primo spettacolo del pomeriggio, mentre sullo schermo si svolge la scena del duello di un film western uno spettatore viene ucciso con un colpo di pistola. Dilaga il panico, le uscite vengono bloccate e viene fatta intervenire la polizia. Inizia così il giallo nel suo formato più classico: quello cosiddetto “della porta chiusa”. Diversi indiziati, bloccati in un luogo da cui non si entra né esce e nel cui perimetro avviene un delitto. Il colpevole è sicuramente uno degli indiziati e sarà compito dell’investigatore smascherarlo facendo appello alla logica. Il commissario interroga tutti e cinquantaquattro gli spettatori ma, diversamente da quanto accade nei gialli di Agatha Christie, non viene a capo di nulla. Si fa notte e gli indiziati iniziano a dare segni di insofferenza. Si decide di ricostruire l’accaduto con una nuova proiezione: tutti devono tornare ai posti che occupavano al momento dello sparo; un dipendente della sala cinematografica si offre volontario per occupare la poltrona del morto. Dalla cabina di proiezione parte la pellicola. Il film avanza tra la noia generale fino alla scena della sparatoria. Bang! Accade di nuovo. Sulla stessa poltrona c’è un secondo cadavere, anche lui ucciso da un colpo di pistola. Un sociologo presente in sala (Flavio Bucci) propone agli inquirenti una sua bizzarra teoria, secondo la quale vi sarebbe uno strano collegamento tra le morti e la poltrona stessa, qualcosa ai limiti della logica. Qui la narrazione si fa avvincente e i brividi iniziano a scorrere lungo la schiena. Mistero? Paranormale? Maledizioni? L’unico indizio è un foro di pallottola trovato al centro dello schermo. Il questore, sopraggiunto per dare una scossa a delle indagini che sembrano non portare a niente, ordina un’altra ricostruzione durante la quale egli siederà personalmente sulla sedia ‘maledetta’. Tutti riprendono posto, e riparte il film.
Mi fermo qui. Il finale è quello che non ti aspetti. E’ quello che ha tormentato i miei sonni di bambino e che adesso, dopo tanti anni, riappare improvvisamente, in tutta la sua chiarezza, negli occhi un po’ più smaliziati di un adulto.Tra gli interpreti è necessario citare un giovane Giuliano Gemma. Questo tecnicamente è corretto, sebbene Gemma non reciti effettivamente in “Circuito Chiuso”, ma solo in un breve girato inserito nel film, realizzato appositamente per rendere congruo il montaggio del film nel film (Giuliano Gemma è infatti un personaggio del film western che viene proiettato sul grande schermo del cinema che fa da sfondo alla vicenda principale). Il film western, per inciso, è un vero film western. Trattasi di “E per tetto un cielo di stelle”, film del 1968 per la regia di Giulio Petroni. Inoltre (mi fa notare la mia fidanzata), in un ruolo secondario, recitava anche Marzio Honorato, assurto alla notorietà in tempi molto più recenti come interprete storico della soap “Un posto al sole” trasmessa da Rai 3.
Ci tengo a sottolineare che, diversamente da altri film visti durante la mia infanzia, questo non ha perso un briciolo del suo fascino una volta che l’ho rivisto da adulto. Ora come allora la trama mi ha coinvolto e mi ha lasciato una profonda impressione.Non è stato facile recuperare il film per potermelo rivedere. Ci ho messo almeno un altro anno. La pellicola probabilmente giace dimenticata da tempo immemore negli immensi archivi della RAI. Forse qualche volta sarà passato in replica, ma certamente sarà stato a qualche ora assurda della notte. “Circuito chiuso” purtroppo non è un blockbuster, non è uno di quei film che attirano lo share per cui valga la pena recuperarlo. E’ qualcosa invece di tremendamente particolare, che si chiude con un messaggio direi sufficientemente destabilizzante da far sì che venga fatto sparire nell’oblio: quello che “di immagini si può morire”. Geniale!
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