La strada si infila tra le frasche, il manto asfaltato lascia il posto a uno sterrato di ciottoli e ghiaia, che sale lungo la collina, e attraversa campi e vigneti a “capanna”, dove appese attendono la maturazione grappoli di montepulciano e trebbiano, e si giunge infine alla cantina di Francesco Cirelli, sulla sinistra, affacciata sulla valle del torrente Piomba.
Lui ci accoglie immediatamente con un sorriso condito di gioia e stupore per essere riusciti a raggiungerlo senza mai perderci e chiedere indicazioni (ma in fondo posso assicurare che non è così difficile trovarlo). La visita si apre subito con una sorpresa, ovvero la presenza di Aurelio del Bono di Casa Caterina con la sua compagna, che purtroppo non si trattengono, ma gli prometto un prossimo incontro nella sua cantina in Franciacorta. Ci possiamo dedicare così a conoscere questo giovane rampante, che ha trovato la sua dimensione in questo angolo sul confine del teramano, proprio sulla propaggine più meridionale delle colline teramane, che al di là della valle diventano territorio pescarese.
Francesco, classe ’80, ha studiato economia e commercio, viene da una famiglia “borghese”, ma ha sentito l’istinto di tornare alla terra, alla campagna, al lavoro dei suoi nonni, e ha cercato un terreno in corpo unico che gli consentisse di tentare questa nuova avventura. Lo ha trovato qui ad Atri, su questo poggio ben esposto, dove all’atto dell’acquisto, nel 2003, le vigne occupavano però le posizioni meno nobili, sui terreni quasi pianeggianti di fondovalle, vicini all’acqua, votate a una produzione di quantità più che di qualità. Così prese subito la decisione di espiantare e ripiantare a filare lungo il ripido pendio.
Francesco Cirelli ha scelto di tornare alla natura mettendosi in una posizione di massimo rispetto, utilizzando solo trattamenti biologici,
Francesco non ha una storia da wine-lover sfegatato, ma si è appassionato al vino durante il suo percorso, e quando è stato il momento di decidere cosa scegliere per la cantina ha messo insieme il buon senso e le valutazioni economiche con la sua sensibilità in termini di vino. Voleva un contenitore che lasciasse respirare quella materia viva che con tanta fatica cerca di ottenere dalle sue vigne, ma senza appesantire o modificarne il profilo con apporti aromatici come può fare il legno. Inoltre era utile avere un’idea vincente per differenziarsi, e dopo svariate ricerche la scelta cadde sulle anfore in terracotta. Non si tratta di kvevri georgiani, ma anfore da circa 800 litri, non trattate internamente, e per questo la scelta del fornitore è andata su Artenova di Parisi a Impruneta, che assicura l’origine e la qualità delle argille, che vanno a contatto diretto col vino.
Queste anfore sono alte praticamente quanto una persona, sono affascinanti e pure decorative, ma comportano un gravoso lavoro fisico per lavorarvi. Le uve vengono diraspate e pressate con un torchio verticale nel caso del trebbiano, mentre gli acini per il cerasuolo e il montepulciano vengono messi in macerazione e fermentazione dentro i contenitori di terracotta, eliminando le bucce dopo poche ore per il rosato abruzzese, mentre restano circa due settimane per il secondo. E proprio il momento della svinatura è uno dei più faticosi, come pure le fasi di preparazione e pulizia dei contenitori, fondamentale per garantire l’integrità e la correttezza del vino della nuova annata in arrivo.
Nella sua produzione Francesco utilizza anche alcuni contenitori in cemento e vasche in acciaio, nei quali vinifica le uve destinate alla sua linea base, sempre costituita da Trebbiano, Cerasuolo e Montepulciano d’Abruzzo, che portano la produzione totale a circa 30 mila bottiglie annue, che prendono per la maggior parte (70%) la strada dell’estero, con tanti estimatori in USA, Australia, Giappone e Regno Unito. Ma come confermato dagli assaggi non stiamo parlando di vini dal piglio internazionale, piuttosto di prodotti strettamente territoriali ed originali, in cui il mezzo di affinamento poco invadente, il rispetto del territorio e degli equilibri naturali, e l’uso di fermentazioni spontanee in cantina, conferiscono al vino una vitalità espressiva rara da incontrare.
Pur confrontando con un’annata diametralmente opposta, andiamo a immaginarne parte dell’evoluzione con il Montepulciano 2012, subito più aperto nei profumi, dove emergono amarena, caffè e amaretto, appena sporcati da un cenno di riduzione. Ma al palato la dinamica è viva e giustamente rustica, con un tannino appena ruvido e una freschezza ancora in pieno slancio, e un calore avvolgente, con un finale insistente di caffè verde, carne, frutti neri e inchiostro.
Considerando che l’avventura è partita a regime nel 2011, la strada intrapresa è delle più luminose, come lo sguardo di Francesco, gioviale e promettente vignaiolo dai sani principi e dalle idee chiare. Viva l’Artisan Wine!
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