Parlavo l’altro giorno in un commento all’articolo sulla vicenda di Ciro Esposito, di «un circo che intorno alla famiglia si sta muovendo, con le sue roboanti e farsesche esagerazioni. Detto in chiaro: qui sta andando in onda un fenomeno di rimozione collettiva dai tratti isterici e teatrali (…) E’ bello sentirsi innocenti in gruppo, con qualsiasi pretesto: ma è sempre l’istinto del branco sotto mentite spoglie.» Con ciò volevo mettere in rilievo, fatti salvi gli inviti della famiglia ai tifosi a rinunciare ai propositi di vendetta, la sostanza demagogica delle manifestazioni che si sono svolte prima e durante i funerali del tifoso napoletano, una sorta di protagonismo di massa cui pochi hanno cercato di sottrarsi, anche nelle piazze mediatiche. E’ sintomatico che il primo tentativo di far conoscere la vicenda in tutto il mondo sia stato paradossalmente, cioè logicamente, quello di un …invasore di campo, un emerito imbecille che già si era fatto conoscere durante il mondiale sudafricano e che ieri si è ripetuto durante la partita del mondiale brasiliano tra Belgio e Stati Uniti: «Ciro vive» stava scritto sulla sua maglietta di Superman. Si dirà che questo babbeo non ha capito un bel nulla. Certo, ma non avrebbe potuto sbagliarsi così clamorosamente, se il messaggio pacificatore non fosse stato inghiottito da un mare di ambiguità e di crasso opportunismo.
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