Questa settimana la professionalità ineccepibile del loro giudice made in Albion, Aliceland, ha decretato, per Cita-un-libro, la sacrosanta vittoria di Iomemestessa. Lei, dal canto suo, come era prevedibile (e la 'povna infatti l'aveva un po' previsto), si è avvalsa della facoltà che, da due domeniche, era stata inserita nel regolamento, decidendo di proporre un tema per la citazione della settimana. La 'povna così, in omaggio al tema (e anche alla padrona di casa - visto che si trova a scrivere alle 6.20 di domenica mattina, a proposito di insonnia), rinuncia volentieri a quella che altrimenti sarebbe stata la sua citazione per oggi (da Rubè di Borgese, a chiusura della settimana del trasferimento: "Esigo formalmente che mio figlio Demetrio sia un viaggiatore sconosciuto sulla terra, e che non abbia moglie se non per sua madre, per sua moglie, pei suoi figli") - che la proposta di Iome - che non frigge certo con l'acqua - è quella di ispirarsi alla morale e all'etica, sotto l'egida saggia e inflessibile di Immanuel Kant.
A questo punto, si apre una voragine. Un po' perché la 'povna la citazione adatta se la era giocata per la tornata precedente (perché Lo spirito delle leggi si presta al tema, eccome se si presta); ma un po' soprattutto per la sindrome di Stendhal dell'imbarazzo della scelta, perché la bussola del dover essere è stella polare della vita della 'povna e anche su Slumberland che, postmoderna per necessità dei tempi, su questo si è sempre portata dietro, fin da piccola, un ricco florilegio intertestuale.
Il primo impulso, lo confessa, è andato alla citazione di famiglia, ché l'Inghilterra è l'Inghilterra, e l'ammiraglio Nelson (del quale fu proprio la zia-mamma a curare edizione e pubblicazione italiana delle Lettere) un loro nume tutelare. Le parole sono quelle, famosissime, pronunciate prima di Trafalgar, e recitano, semplicemente: ""England expects that every man will do his duty". Sulla stessa linea (absit iniuria verbis), il pensiero l'ha portata allora a due classici della Britishness contemporanei, ebbene sì, proprio la Rowling e il vecchio Tolkien del Signore degli anelli. Perché le parole di Frodo quando si propone come portatore dell'anello ("Prenderò io l'Anello", disse, "ma non conosco la strada") vengono riecheggiate, una cinquantina di anni dopo, da quelle di Albus Dumbledore ("Siamo forti solo se uniti, deboli se divisi. L'abilità di Voldemort nel seminare discordia e inimicizia è molto grande. Possiamo combatterla solo mostrando un legame altrettanto forte di amicizia e fiducia. Le differenze di abitudini e linguaggio non sono nulla se i nostri scopi sono gli stessi e i nostri cuori sono aperti. Quando e se per voi dovesse venire il momento di scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile, ricordatevi di Cedric Diggory.", dai Doni della morte) e rispecchiano una visione del mondo sub specie dovere morale che appartiene alla vecchia isola dai tempi della Magna Charta Libertatum. Il sottile filo rosso di quella cosa essenziale che si chiama dover essere l'ha portata così, quasi a bordo del Mayflower, dall'altra parte dell'oceano. E lì, sempre in omaggio alla letteratura giovanile (una miniera di citazioni-talismano - ma fa parte del genere, del resto), ce ne erano almeno due, che parlano al suo cuore e alla bisogna. Una di Louisa May Alcott (da Jo's Boys, questa: "Ho letto, da qualche parte, che in ogni centimetro di fune usata dalla Marina britannica è intrecciato un filo rosso in modo che la si possa riconoscere ovunque se ne trovi un pezzettino. Questo è il succo della breve predica che ti farò: la virtù, che significa onore, onestà, coraggio e tutto ciò che forma un carattere, sono quel filo rosso che distingue un uomo buono ovunque si trovi. Custodisci queste doti sempre e dovunque, così che se per sfortuna dovessi naufragare nel mare della vita, quel segno potrà sempre esser ritrovato e riconosciuto. La tua è una vita dura e i tuoi compagni non come noi desidereremmo, ma tu puoi comunque essere un gentiluomo nel vero senso della parola. Non importa quello che può accadere al tuo corpo, conserva l'anima limpida, il cuore sincero verso coloro che ti amano e fa' il tuo dovere sino alla fine"), ma la aveva già usata l' anno scorso per le Giovani Marmotte. E poi Christopher Morley, che poteva essere (anche per i caratteri che ben si intonano alle scelte di Iome: autore misconosciuto, specie in Italia, qualità media eccellente, buon blockbuster, fortuna italiana negli anni Trenta, persino tradotto da Pavese, e poi quasi dimenticato, se non fosse stato per Sellerio, in quella solita fetta di modesta utopia targata anni Novanta) un buon compromesso. Un passo dalla Libreria stregata, del resto, ha fatto compagnia alla 'povna, al terzo anno di Hogwarts, per tutta la durata delle sue notti insonni, per divenire poi l'epigrafe della sua tesi di laurea, un paio di anni dopo. La frase, che parla del mondo da ricostruire dopo la Grande Guerra, e sembra riecheggiare i 14 punti del presidente Wilson, recita: "Siamo passati attraverso uno spaventoso cimento ed ogni spirito onesto si domanda che cosa si possa fare per raccogliere gli sparsi frammenti del mondo in rovina e ricostruirne uno più consono ai desideri del nostro cuore"; e andava proprio bene, a dirla tutta. E però la 'povna ha deciso lo stesso di passare oltre, continuando a cercare. Il tema della tesi di laurea l'ha portata così dalla prima guerra alla seconda, in area di Resistenza. Lì, gioca in casa. E proprio per questo, di solito, si perita (perché la sua visione leggera del blog prevede di mescolare poco il mondo della scrittura per lavoro da quello della scrittura libera). E però ci sono delle volte che bisogna osare. I nomi (e i libri) sono virtualmente infiniti, così come le ragioni di una scelta (per citare il titolo di uno dei saggi cardine sulla guerra civile, quello di Claudio Pavone, sempre anni Novanta). Ma la 'povna ne avrebbe avuti tre, su tutti gli altri, da spendere. Calvino nel Sentiero dei nidi di ragno (con le parole del commissario Kim: "E basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell'anima e ci si trova dall'altra parte", che aveva già citato una volta a Iome, peraltro). Poi, ovviamente, Giaime Pintor, dall' Ultima lettera (così odiato, ex post, da una certa lettura di sinistra, per quel suo essere partigiano e borghese, che non era proprio sopportato): "Una società moderna si base su una grande varietà di specificazioni, ma può sussistere soltanto se conserva la possibilità di abolirle a un certo momento per sacrificare tutto a un'unica esigenza rivoluzionaria. E' questo il senso morale, non tecnico, della mobilitazione: una gioventù che non si conserva "disponibile", che si perde completamente nelle varie tecniche, è compromessa. A un certo momento gli intellettuali devono essere capaci di trasferire la loro esperienza sul terreno dell'utilità comune, ciascuno deve sapere prendere il suo posto in una organizzazione di combattimento. [...] Oggi sono riaperte agli italiani tutte le possibilità del Risorgimento: nessun gesto è inutile purché non sia fine a se stesso. Quanto a me ti assicuro che l'idea di andare a fare il partigiano in questa stagione mi diverte pochissimo; non ho mai apprezzato come ora i pregi della vita civile e ho coscienza di essere un ottimo traduttore e un buon diplomatico, ma secondo ogni probabilità un mediocre partigiano. Tuttavia è l'unica possibilità aperta e l'accolgo" (lettera alla quale si riallaccia, in maniera consapevole, ancora Calvino nel Midollo del leone, ma la 'povna lo dice solo tra parentesi: "Ma il rinnovamento della storia procede da uomini che con la propria natura ed educazione non hanno conti in sospeso, che sanno di far parte di un tutto, sanno che anche i limiti e i difetti, se accettati come tali, si possono far tornare all'attivo, in un'economia di valori più complessa e movimentata"). E, infine, il suo Fenoglio. Perché, quando si tratta di moralità e scelta, Johnny resta pur sempre il partigiano: "Partì verso le somme colline, la terra ancestrale che l'avrebbe aiutato nel suo immoto impossibile, nel vortice del vento nero, sentendo com'è grande un uomo quando è nella sua normale dimensione umana. E nel momento in cui partì si sentì investito -nor death itself would have been divestiture - in nome dell'autentico popolo d'Italia, ad opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare ed eseguire, a decidere militarmente e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma infinitamente più inebriante la coscienza dell'uso legittimo che ne avrebbe fatto. Ed anche fisicamente non era mai stato così uomo, piegava erculeo il vento e la terra".
Arrivata qui, pensava di avere in realtà trovato il bandolo; e stava per spostare la citazione fenogliana sul post-it, consegnandola alla gara. Ma qualcosa ancora l'ha trattenuta, insensibilmente. Non per la pertinenza di autore, romanzo, interpretazione del tema - è più che ovvio, ché, di fronte a uno dei pochi momenti di sollevazione morale perentoria e consapevole ( La generazione degli difficili, dice un bel libro inchiesta del 1962 curato da Albertoni, Antonini e Palmieri, che merita di leggere), poco c'è da ribattere (se non riprendere da lì la strada interrotta). Il motivo della perplessità (che Iome capirà benissimo, perché lei e la 'povna ne hanno parlato in pubblico e in privato, ai tempi degli uomini della presidenza) era piuttosto di natura, latamente, generazionale. E fa agio sulla consapevolezza che tutto quello che la 'povna ha citato - e che si porta dietro, tutti i giorni, sulle spalle, come formazione, educazione morale, consapevolezza - appartiene però anche, suo malgrado, a un altro tempo. Un tempo che ha definito, qualche mese fa, di Mr. Mifflin (inteso come colui che le ha dato i natali, ovvio - ma anche come protagonista, guarda un po', proprio di Morley): un tempo di formazione verticale, radicale, gramsciana, solida; un tempo di pensiero forte. Un tempo cui la 'povna guarda con venerazione, rigore, ammirazione, tensione ineludibile, ma consapevole anche che - figlia suo malgrado di una società fluida (ché gli anni della sua formazione si giocano proprio a cavallo, del cambiamento di paradigma) - a quel tipo di costruzione morale (e non si parla di intensità o rigore, sia chiaro, ma di modalità, semplicemente), lei, non potrà più aspirare.
Ed è in quel "più" (che è un segno della storia, dal quale dunque, per contratto, non si fugge e non si deroga) che si gioca tutta la partita, adesso. Adesso che spetta a loro, adesso che i padri si fanno da parte, con dolore e rimpianto (nel migliore dei casi), adesso che si gioca, dal privilegio di una esistenza che è vissuta di pace, di consumo, di benessere, la sfida di ricostruire il bandolo. Per questo la 'povna arriva, infine, al termine di questo excursus, a citare, convinta, un'altra bussola: e il cerchio si chiude (per azione, e per titolo), e ritorna in Albione (prevedibilmente) e a un altro autore che la moralità la interpreta, nei suoi romanzi, da sempre: quel Jonathan Coe che ricorda un po' Dickens. Non dalla Famiglia Winshaw (e dalla critica anti-Thatcher), sarebbe troppo facile; e neppure dalla Casa del sonno. La 'povna cita invece (appunto) da The Closed Circle, la frase finale del suo romanzo doppio (del quale la prima puntata è costituita da The Rotters' Club).
"In una notte nera, sotto un cielo sereno e pieno di stelle, nella città di Berlino, nell'anno 2003, due giovani stavano cenando insieme. Si chiamavano Sophie e Patrick. Guardarono l'enorme baraccone di vetro e cemento del nuovo Reichstag, tutto illuminato. Che veniva loro incontro. Il ristorante che avevano scelto, quella sulla cima della Fernsehturm proprio sopra Alexanderplatz, girava su se stesso più velocemente di quanto entrambi si fossero aspettati. A quanto pare la velocità era raddoppiata dopo la riunificazione". Parte così, La banda dei brocchi. Da una città, Berlino, e da due giovani inglesi a stento ventenni, che, dall'alto della Fernsehturm, incontratisi per caso nella città segreto e simbolo di Europa, variamente, si raccontano la storia dei loro genitori, in maniera reciproca, ripercorrendo quasi quarant'anni, a datare dai Settanta. I due romanzi di Coe saranno il frutto di questo lungo flashback di narrazione, densissima e romanzesca. Ma, nelle ultime pagine di Circolo chiuso, il fuoco ritorna sul presente. Patrick e Sophie hanno lasciato AlexanderPlatz, passeggiano per Unter den Linden, ritornano verso l'hotel Adlon, dove i loro genitori li attendono; ma superano la vetrata dell'albergo, proseguono oltre. I loro genitori li guardano:
(per #ioleggoperché)