Lenore ha una caratteristica che attira gli uomini. Non è una caratteristica normale, o una caratteristica che possa essere spiegata. “…” disse sperando così di spiegarla. “Vulnerabilità è ovviamente una parola sbagliata. “Esuberanza” non basta. Entrambe le suddette parole significano, perciò falliscono. Lenore ha la caratteristica di una specie di gioco. Ecco. Il che, significando quasi niente, potrebbe funzionare. Lenore ti invita tacitamente a giocare un gioco che consiste di oscuri tentativi di scoprire le regole del gioco stesso. Che ve ne pare? Le regole del gioco sono Lenore, e giocare significa essere giocati. Scopri le regole del mio gioco, ride lei, ridendo con o di te.
- Ormai non si vomita più, – disse LaVache. – Qui all’Amherst qualche anno fa c’è stato un tizio, un tizio veramente mitico, che ha introdotto l’usanza per cui invece di vomitare ci si mette a picchiare la testa contro il muro.
- A picchiare la testa?
- Molto forte.
Comunque sia, a Cambridge ha studiato lettere classiche e filosofia e chissà cos’altro con un professore che era una specie di genio pazzoide e si chiamava Wittgenstein ed era convinto che tutto sia parole. Sul serio. Non ti parte la macchina? E un problema di linguaggio. Sei incapace di amare? Sono le spire del linguaggio. Hai il raffreddore? Semplice: costipazione di sedimenti linguistici. A mio parere la cosa puzza enormemente di stronzata, ma evidentemente la Lenore Beadsman vecchia c’era cascata in pieno, e ha avuto settanta e passa anni per far macerare e fermentare l’infusione con cui adesso imbocca settimanalmente Lenore.
– Tu vai pazza per le parole, vero? – Guardò Lenore. – Vero che vai pazza per le parole? – Cioè? Che significa? – Significa che mi dai l’idea di una che va pazza per le parole. O forse pensi che siano loro a essere pazze. – In che senso? – Nel senso che le prendi terribilmente sul serio, – disse. – Tipo come se fossero un bisturi, o una motosega che rischia di tagliarti con la stessa facilità con cui taglia gli alberi.
© Fania
Con me usò la scopa, però ti parlo di quando avevo tipo otto anni, o dodici, chi se lo ricorda, e Lenore mi fece sedere in cucina e prese una scopa e si mise a scopare furiosamente il pavimento, e poi mi chiese quale fosse secondo me la parte più fondamentale della scopa, la più cruciale, se il manico o la chioma. Il manico o la chioma. E io non sapevo cosa rispondere, e lei si mise a scopare ancor più violentemente, e io cominciai a innervosirmi, e finalmente dissi che secondo me era la chioma, perché senza manico si può scopare lo stesso, basta tenere in mano l’affare con la chioma, mentre scopare solo col manico è impossibile, e a quel punto lei mi agguantò e mi scaraventò giù dalla sedia e mi gridò qualcosa cosa tipo: «Già, perché a te la scopa serve per scopare, no? Ecco a cosa ti serve la scopa, eh?» e roba del genere. E gridò che se invece la scopa ci serviva per spaccare una finestra allora la parte fondamentale era chiaramente il manico, e passò a dimostrarlo spaccando la finestra della cucina, cosa che fece accorrere i domestici, terrorizzati; ma che se appunto la scopa ci serviva per scopare, tipo per esempio i vetri rotti della finestra, e dai che scopava, allora l’essenza della cosa era la chioma.
© Urca
Nonna dice che ogni racconto si trasforma automaticamente in una specie di sistema, un sistema che controlla tutti i personaggi coinvolti. (Lenore)Ma ci era entrato troppo dentro DFW, nel gioco, nel sistema… tanto da non avere vie d’uscita, avremo capito un po’ di anni dopo.
Serena M. Caldarazzo
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