Il 6 maggio di 100 anni fa nasceva uno dei più innovativi autori del cinema internazionale: Orson Welles. Attore, sceneggiatore, conduttore radiofonico, regista di teatro e di cinema. Ha fatto praticamente tutto, e in ogni situazione ha lasciato a quella determinata disciplina qualcosa di estremamente prezioso (e non è poco). Il suo esordio è avvenuto sul palco già all’età di tre anni, interpretando un ruolo marginale nell’opera Madama Butterfly. Tuttavia è l’incontro con Roger Hill, professore alla Todd School, a fornirgli tutti gli strumenti necessari per intraprendere quella che sarà una straordinaria carriera.
Il trasferimento a New York, dopo una piccola parentesi artistica a Dublino e Londra, coincide con il debutto a Broadway con ruoli in Romeo e Giulietta (dove recitò la parte di Tibaldo) e collaborazioni con il regista e produttore teatrale John Houseman, mettendo in scena spettacoli come Panic, Voodoo Macbeth (che porterà molta notorietà a Welles) e successivamente Un cappello di paglia di Firenze (Horse eat hat), e una versione del Giulio Cesare di Shakespeare ambientata nell’epoca fascista. La rappresentazione aveva portato immediatamente non poche critiche e polemiche, poiché, oltre al Bruto interpretato da Welles, il personaggio di Giulio Cesare era stato ricalcato presentando molte analogie con la figura autoritaria di Mussolini.
Oltre al teatro, è stata la radio a rendergli onore per la sua inventiva. Il 30 ottobre del 1938 alla CBS, storica emittente americana, Orson Welles reinterpreta uno storico romanzo di fantascienza di Herbert George Wells La Guerra dei Mondi, provocando scompiglio e terrore in gran parte dell’America, la quale temeva che l’arrivo di extraterrestri fosse davvero avvenuta. Una delle scene all’interno della radio è stata testimoniata da molti collaboratori, tra cui l’assistente personale Alland. Davison Taylor, direttore della emittente, era entrato in camera di registrazione dopo 15 minuti dall’inizio del programma esclamando di interrompere tutto. “Là fuori la gente è impazzita!”. La risposta di Welles era stata assolutamente geniale: “Interrompere? Perché? Devono avere paura, mi lasci continuare!”
Questa sua genialità mostrata in quel momento in radio, è stata essenziale anche nel mondo del cinema, regalandoci lavori assolutamente fuori dal comune. Recentemente, nel capoluogo di provincia friulano Pordenone, era stato trovato Too Much Johnson, un film di Welles che per molti era andato perduto e che doveva allacciarsi contemporaneamente alla commedia teatrale che lo stesso autore doveva dirigere.
Tuttavia è con Citizen Kane (Quarto Potere), che la sua qualità artistica è stata messa maggiormente in luce. Oltre a definire una storia tutt’ora attuale su un uomo che in giro di pochi anni possedeva le maggiori testate giornalistiche e radiofoniche degli Stati Uniti, è il modo di raccontare che ha sicuramente dell’incredibile. In un epoca dove il cinema classico hollywoodiano era protagonista, il film di Orson Welles si discosta da molteplici fattori. Prima di tutto, la sceneggiatura tutt’altro che lineare, costituita dal principio di causa-effetto, ci racconta le vicende del protagonista non attraverso un narratore esterno, ma attraverso le voci delle persone che da tempo sono state vicino a Kane. Ogni punto di vista si discosta notevolmente dall’altra, decretando una visione distorta e per niente oggettiva del personaggio principale, sul quale non è possibile arrivare a un giudizio obiettivo.
Oltre a questo, la complessità del personaggio è davvero incredibile. Diversamente dai protagonisti classici, fissati dalle loro caratteristiche, in Kane si denota una netta evoluzione. Dal ragazzo dai forti ideali di libertà (in questo caso, della libertà di stampa), che va contro i propri interessi personali, si passa a un’uomo privo di moralità, corrotto dall’eccesso di potere che, piano piano, era riuscito a conquistarsi. In secondo luogo, la regia è qualcosa di estremamente innovativo: l’uso dei piani sequenza, dei long take, della profondità di campo, rende il film totalmente lontano dallo stile dell’epoca, oltre a essere maggiormente fruibile da parte del pubblico.
La critica verso la società capitalistica che si è formata, al conformismo e alla perdita di valori si vede anche in uno dei quattro episodi di Ro.Go.Pa.G La ricotta, diretto da Pier Paolo Pasolini, dove Welles interpreta il ruolo del regista. Alle domande alquanto prive di logica del giornalista basso borghese, lui dava delle risposte efficaci e complesse, tanto de lo stesso giornalista non riesce a comprenderle.
Giornalista – Cosa ne pensa della morte?
Welles – Come marxista è un fatto che non prendo in considerazione.
Inoltre la somiglianza di carattere del personaggio del regista e quello di Pasolini sono evidenti. Non è un caso per l’appunto che in una sequenza del film, Welles legga davanti al cronista una poesia tratta da Poesia in forma di rosa, dal nome “Io sono una forza del passato”, denigrando la persona davanti a lui definendolo un “uomo medio, un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, colonialista, razzista, schiavista, qualunquista”.
Orson Welles rimane ancora oggi un artista a tutto tondo, che ha saputo lasciare il segno con incredibili lavori. Un autore innovativo, dalle larghe vedute, difficilmente replicabile (per nostra disgrazia).