Posted 16 novembre 2012 in Città (in)visibili, Serbia, Slider with 0 Comments
di Davide Denti
E’ il due novembre, ma a Belgrado fanno 15° e un caldo quasi estivo. Il giorno dei morti ed ognissanti non sono festività – retaggio del calendario socialista yugoslavo – e la città è viva ed intasata di traffico come al solito. Più del solito, anzi – sono appena state in città Cathy Ashton ed Hillary Clinton, le due ‘grandes dames’ della diplomazia transatlantica, impegnate in colloqui con il neopresidente Nikolić, mentre Barroso a Bruxelles predispone i prossimi incontri dei primi ministri di Serbia e Kosovo, Dačić e Thaçi. Il messaggio è fondamentale: l’Occidente manterrà la sua apertura verso la Serbia – integrazione europea e commercio – se la Serbia manterrà il suo pragmatismo sulla questione del Kosovo anche con il nuovo esecutivo.
Belgrado non è la Serbia, dice qualcuno, così come Istanbul non è la Turchia. Forse entrambe le città ne sono solo l’avanguardia, la punta dell’iceberg sommerso. Eppure ciò che succede a Belgrado è significativo. La città è cresciuta negli ultimi anni, ed ha uno smalto nuovo – nonostante sulle grandi arterie continuino a circolare i bus gialli “dono del popolo del Giappone” e i tram rossi di produzione bielorussa, che riportano ad un passato prossimo di ricostruzione.
Così capita di sentirsi rispondere l’inaspettato, dai giovani di Belgrado. Elena, 24 anni e una laurea in linguistica e in studi europei a Varsavia: “vorrei lavorare come consigliere per EULEX a Pristina”. Ivan, 28 anni e un diploma di tecnico informatico: “lasciamo perdere tutta questa questione del Kosovo e ricominciamo da capo, da zero, come un paese europeo”. Maja, 22 anni, guida turistica e studente di management all’università: “Ho lasciato il villaggio di Obilic, fuori Pristina, nel 1999. Da 13 anni la mia famiglia vive a Belgrado, ormai sono di qui. Ma ho ancora cugini e parenti in Kosovo, mi piacerebbe tornare a trovarli e vedere i luoghi della mia infanzia. Finora non c’è stato un momento buono per organizzare il viaggio”.
Come la repubblica serba ha ripreso sulla bandiera e sullo stemma i vecchi simboli monarchici dei Karadjeordjevic, così la città bianca ha ripreso la sua toponomastica dedicata a re e regine, principi e principesse del pantheon nazionale serbo, a partire dalla paradossale statua del principe Mihailo Obrenović che troneggia in Trg Republike, a quella poco distante di Petar Petrović Njegoš, alle due arterie commerciali di Kralja Aleksandra e Kneza Miloša.
Nei cinema, il 4 novembre, esce “Valter”. Il documentario, di Andrej Acin e con Emir Kusturica, sull’uomo Vladimir Peric e la leggenda del partigiano serbo impegnato nella difesa di Sarajevo dai tedeschi, un mito costruito dall’élite socialista e popolarizzato dal film del 1972 Valter brani Sarajevo. La locandina, con la stella e il viso dell’attore, è appesa alle pensiline del bus.
Tuttavia, le due figure più celebrate in città di questi tempi sembrano essere Ivo Andrić e Nikola Tesla. L’antitesi dello stereotipo del “balcanico”: il raffinato scrittore e diplomatico nato a Travnik, premio Nobel 1960, e l’introverso e geniale inventore che dalla Krajna cercò fortuna negli Stati Uniti, regalandoci la corrente alternata ed il motore ad induzione. Due serbi e due jugoslavi: i loro musei continuano ad attirare visitatori, e non solo turisti. A Tesla è stato intitolato l’aeroporto, per Andrić c’è una statua ed il nome della via in cui abitava – Andrićev Venac – giusto di fronte all’ingresso dell’attuale presidenza del paese. Forse più degli Obrenović e dei Karadjeordjević, più di Kusturica e Valter, sono loro due a rappresentare la Serbia, e Belgrado, oggi.
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