“Ora siamo senza uno specchio
che smalti il viatico
senza un’esegesi che popoli i postumi
di un fatto, senza una timbrica
che trapeli di segni il fiato
ma sai, io so che l’onomante
accosta per differenza
i nomi, soffia dal labiale
la pula e sente come fa, chiamarli”
§
L’oscurità è qualcosa di liquido da cui esordisci di continuo
un inizio circolare che comprende una storia scritta
in acque che chiamano, per accenti
lungo il declino, trascorsi non netti
impassibili alla tua abluzione, chiamano
a una sola parola avvertita
collaterale artefatta sottaciuta che crea
la sua voluttà di esistere o mancare
Il coro allontana propaga il visibile
con precisa volontà di essere futuro
come fosse solo un sogno il palpito che ricorda
vissuto della dispersione, rimosso, merda
e l’ora ha questa norma
che di sotto cospira l’illecito, un’assenza sul farsi
che rende residuo l’immaginario
che non sa coprofago il procedimento
che rientra nell’abbondanza
che del godimento del pasto
fa la finzione necessaria a ogni decadenza
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