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Città di carta – Perché vivere non significa solo respirare

Creato il 17 settembre 2015 da Thefreak @TheFreak_ITA

Tutti coloro che hanno amato Colpa delle stelle, il film di Josh Boone tratto dal romanzo di John Green, si saranno precipitati al cinema per vedere anche Città di carta, la pellicola di Jake Schreier egualmente ispirata ad uno dei libri dello scrittore statunitense.

La storia ha per protagonista Margo (interpretata da una sorprendente Cara Delevingne), enigmatica quanto avventurosa liceale che vive nella casa di fronte a Quentin (l’attore Nat Wollf, già visto in Colpa delle stelle), suo compagno di scuola: il ragazzo, un timido nerd ligio alle regole, è da sempre segretamente innamorato della bella e ribelle Margo, la quale dopo averlo trascinato in una notte di simpatiche vendette alle spese di alcuni nemici comuni del liceo, scompare misteriosamente, lasciando dietro di sé degli indizi che apparentemente soltanto Quentin riesce a decifrare.

Città-di-Carta-Cara-Delevingne-Nat-Wolff-4

La ricerca di Margo condurrà il giovane ed i suoi migliori amici in un’avventura on the road divertente ed emozionante, che inciterà tutti noi a scoprire il significato più profondo dell’amore.
La cifra stilistica dello scrittore di Indianapolis è facilmente rintracciabile nei dialoghi pieni di sentimento tra adolescenti, nelle storie d’amore partite in sordina e destinate a rivelarci qualcosa di più non solo sui protagonisti, ma anche su noi stessi.
Il viaggio, metafora privilegiata di registi ed autori per raccontare il cambiamento, entra di diritto a far parte, anche in questa pellicola, dei personaggi principali: lungo le strade degli Stati Uniti si dipana, infatti, l’avventura di Quentin e dei suoi amici, come un rituale di iniziazione e crescita che, nel frattempo, ci porta per mano nella “città di carta” dove si trova Margo.
Città di carta, a differenza di Colpa delle stelle, è una commedia leggera e frizzante, nella quale però non mancano diversi riferimenti letterari (primo tra tutti quello a Walt Whitman) che ci fanno riflettere sul significato di temi importanti, come l’amicizia, l’esistenza, il difficile percorso che tutti dobbiamo compiere per lasciare l’adolescenza ed inoltrarci nella selva dell’età adulta.
La sceneggiatura è divertente, piacevole, priva di quella saccenza propria di molti registi che insistono nel cercare di trasmettere un messaggio a tutti i costi. La regia è misurata e permette alla storia di proseguire senza strappi, supportata anche da un bel soundtrack.
Il protagonista, Nat Wollf, è perfettamente in parte, ed è assolutamente credibile nel ruolo del giovane follemente innamorato che non riesce a dichiararsi alla ragazza più cool della scuola, ma che, dopo un’intera vita trascorsa a rispettare le regole, capirà che Margo vale ogni regola che infrangerà pur di raggiungerla.
La vera rivelazione della pellicola, però, è la modella Cara Delevingne: questa ragazza britannica rappresenta al meglio uno spirito libero ed indomabile, che ritrae quella parte di ognuno di noi che vorrebbe trascorrere la propria esistenza senza seguire i dogmi della società, senza piegarsi al compromesso della quotidianità.

Cara-Delevingne

E la Delevingne rende davvero concreto il personaggio di Margo grazie ad una mimica facciale intelligente e simpatica.
Città di carta è la mappa di un’adolescenza che sta per terminare, è un’avventura in un’America costituita di quartieri fantasma, di cantieri a cielo aperto, è una storia spensierata e commovente che narra delle meraviglie nascoste nelle irripetibili prime volte, nelle ossessioni, nelle amicizie e nelle fughe. È un film ed un romanzo di formazione colmo di vita, di battute stupefacenti, di peripezie, di spasmodiche ricerche e di buffe esperienze.
Città di carta è il dono di epifanie emozionanti che l’autore e il regista fanno al pubblico, della consapevolezza delle imperfezioni che questa vita ci offre, ma anche della scintilla di ribellione che deve albergare in ognuno di noi contro il disinteresse per i sentimenti altrui.
Tutto ciò è perfettamente racchiuso nelle parole di John Green, che così risponde quando gli si domanda cos’è una “città di carta”: “Essenzialmente, volevo una definizione diversa di “città di carta” per ogni sezione del libro, ognuna delle quali rappresentasse un modo differente dell’immaginazione di Margo proposta da Q. Nella prima parte, Q vede Margo in una sola delle sue dimensioni. Per lui, la ragazza ha lo spessore della carta, non è nient’altro che l’oggetto del suo desiderio.
Nella seconda parte, lui vede una ragazza che è metà presente e metà assente, quindi inizia a pensare a lei con maggiore complessità, ma ancora senza pensare a lei veramente come un essere umano. Nella parte finale del romanzo, l’immagine nel complesso riconnette Q a Margo, ma non nel modo in cui lui avrebbe sperato”.
Dunque Quentin, Margo ed i loro amici forse vogliono dirci che mandare “al diavolo le regole” ogni tanto fa bene, che è indispensabile vivere la propria esistenza godendo appieno del presente, dell’oggi, andando oltre quelle “città di carta” rappresentate dall’ipocrisia di chi ci sta intorno, viaggiando, evadendo dal nostro piccolo mondo per allargare gli orizzonti dell’universo che ci circonda, e ricordando che, se anche non saremo riusciti a realizzare tutti i sogni che avevamo da bambini, quando correvamo in bicicletta e tutto ci sembrava possibile (come Jake Schreier ci mostra nello splendido, ultimo fotogramma del film), niente sarà stato più bello ed entusiasmante dell’emozione che avremo provato ricordando che non conta l’arrivo, ma soltanto il viaggio.

Di Ilaria Pocaforza.


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