Attenzione, questo post è un delirio di pezzi casuali della mia vita.
Non so perché lo sto scrivendo, me ne è venuta voglia.
Vi ho avvisati.
Ho da sempre avuto una farneticante, quanto banalissima passione per gufi e civette.
Ah, come dite? L'avevate notato dal nome? Già, vero.
Mi ha sempre affascinato come animale.
Nottambulo, con quello sguardo enorme, diretto.
La cosa che più mi piaceva era il suo aspetto. Come si presta alla sintesi grafica.
In casa mia invece è sempre stata considerata portatrice di enormi sfighe.
Mia madre quando ero piccola mi raccontava che mia nonna le diceva:
"Senti, la civetta. Quando piange vuol dire che qualcuno nella casa che sta guardando sta per morire. "
A me non è mai sembrata del malaugurio questa frase.
Tutt'al più mi veniva da ringraziarla. Poveraccia, veggente, ti cercava di avvertire del disastro. E invece di farne buon uso, la si bollava come portajella.
Non serve che vi dica che a mia madre non piaceva tanto vedere la camera di sua figlia invasa dal volatile.
Anche se c'è da dire che le mie non piangevano.
L'apice dell'orrore lo abbiamo raggiunto quando mi hanno regalato 2 gufi a grandezza naturale. Erano richiami per cacciatori. E sembravano veri.
Quando me ne sono andata di casa a 25 anni la prima cosa che mi ha chiesto mia madre è stata:
"Te li porti via questi?"
"Ehm no mamma, se me li porto a casa non entro più io!"
Era già sulle scale della soffitta con i due cosi sotto il braccio.
I più piccoli me li sono portati dietro, nel nostro primo bilocale nel quartiere cinese.
Adesso qualcuno si affaccia dagli scaffali più alti della libreria, guarda giù e aspetta tempi migliori per riplanare in mezzo a noi. Che siamo diventati tre.
Quando siamo andati a stare dove abitiamo ora, siamo stati adottati da una gatta. Adottati perché ci ha scelto lei. E' entrata come un treno una sera di gennaio.
Il 3 gennaio di 5 anni fa.
Si è sbafata un piatto di acciughe rimaste sul tavolo e si è messa a dormire sul divano. Così come se fosse stata sempre casa sua. Era piccolina, avrà avuto si e no 4 mesi.
Lei era la Miccia.
Un po' di giorni dopo che era entrata nella nostra vita, aprendo la porta una mattina, nella cariola davanti a casa che usavamo per portare dentro la legna mi aveva lasciato una civetta morta.
Chi conosce i gatti lo sa cosa significa.
Mi sono quasi commossa. So che è un orrore trovarsi un uccello così grande morto per mano di un gatto la mattina appena sveglio.
Però era il suo modo per ringraziare. E sapeva già cosa portare per fare colpo.
Lei è stata la madre di tutti i nostri gatti. Dalla prima cucciolata abbiamo tenuto gatto Gridone. Gli altri 2 li abbiamo portati fino ad Aosta. Ma stanno ancora bene, sono grossi e il padrone ci aggiorna ogni tanto.
Dalla seconda cucciolata è rimasto solo gatto Lacrimoso (alias Izio).
La strada bastarda ci ha portato via la Miccia a luglio 2009.
Gran brutto mese, perché si è portato via anche mio padre.
Se siete arrivati fin qui al leggere vi chiederete cosa c'entrano i carciofi.
In realtà praticamente niente.
A parte che per me il 2009 è stato l'anno della catarsi.
Un lutto, il diventare mamma, perdersi e ritrovarsi di nuovo.
E ho scoperto di essere come il cuore di un carciofo. Che la vita stessa era come un carciofo. Sfogli le foglie dure e appuntite, alcune le succhi, prendi il buono e poi cacci via il resto. Così finché non arrivi al cuore. Al nocciolo della questione.
E capisci perché c'erano tutte quelle foglie dure a proteggerlo. Perché è facile affondarci i denti dentro. E te ne devi prendere cura.
Ecco Nina perché non potevo rinunciare al nome ;-)
Buon weekend.