Ed è stato Sanremo. La ‘povna non ne ha parlato, perché nonostante tutte le strategie di contenimento la vita va più veloce e lei, se non arranca, tiene comunque il passo, con quello stesso ritmo che adopera in piscina quando fa le vasche, vale a dire – che siano quaranta (come quando aveva appena ricominciato), oppure cinquanta, ottanta, o cento (la sua media quotidiana dell’ultimo semestre) – senza mai fermarsi.
Però Sanremo lo ha visto, tutto, e, con la parziale eccezione della festa di compleanno di Streghetta, sera dopo sera. Lo ha visto perché Sanremo si guarda, perché questa finestra nazional-popolare (e televisiva, un medium comunque potente, nonostante il suo essere meno postmoderno oramai di quanto un tempo) è un osservatorio sociologico importante, perché, un po’ sul serio un po’ per celia, ricordava benissimo quello del 2011, e voleva capire con anticipo chi diventerà alla fine del prossimo trimestre sindaco di Milano.
Così, sera dopo sera, si è organizzata per tempo, si è portata avanti prima, e si è trovata un’attività durante; poi ha acceso la TV e ha guardato. A essere sincera, di canzoni non gliene è piaciuta mezza, al primo ascolto; e, se è per questo, neppure al secondo. Su Carlo Conti aveva già pensato tutto quel che c’era da dire l’anno scorso (l’essenza del democristianesimo astuto e pavido, un colpo al cerchio e uno alla botte), lo spettacolo nel suo insieme era tanto tradizionale da essere vintage (ma senza riuscire ad eguagliare la geniale istituzionalità di Pippo Baudo), su valletti, nani e ballerine è bene stendere un velo pietosissimo. E a lei, in risicata minoranza, non è piaciuta (quasi) per niente (perché l’ha trovata sguaiata, poco fine, in ultima istanza puramente imitante, senza lo sguardo necessario di dolorosa satira) neanche Virginia Raffaele.
Per come stavano messe le cose, la noia sarebbe stata così la regina, se non fosse stato per alcune contingenze, alcune private, e altre pubbliche, che le hanno permesso di navigare a crociera le acque della canora settimana senza proprio affondare.
Appartiene al secondo ambito, ovviamente, la questione di #SanremoArcobaleno e del sostegno alle unioni civili, così come è stata proposta. La ‘povna l’ha seguita e sostenuta doverosamente, rilanciando per quanto in suo potere nei suoi canali sociali e telematici quel che c’era da sostenere e rilanciare. In margine a tutta la questione (si taccia sulla vergogna di una legge tanto tardiva, e di tutte le ridicole polemiche a contorno), aggiunge solo che quando una serie di volti nazional-popolari, simbolo del disimpegno anni Ottanta, se di qualcosa sono simbolo, tra i quali, per dire, Eros Ramazzotti, improvvisano una gag di sventolio arcobaleno così accuratamente studiata eppure ovvia, forse chi sta in Parlamento dovrebbe rendersi finalmente conto di quanto (come per il divorzio e per l’aborto) sia più avanti di loro stessi la società italiana.
Ma è sull’ambito privato e personale che la visione di Sanremo si è di colpo trasformata in esperimento sociologico. Perché, se è già vero che normalmente la ‘povna guarda Sanremo chiacchierandone nel mentre con amici e conoscenti, per quest’anno si sono materializzati ben tre gruppi di ascolto (su due canali differenti), rispettivamente, con le amiche di C’è Bisogno, gli Amicolleghi e gli Amici del Nord (quest’ultima con tanto di voto canzone per canzone e podio-scommessa), una twitter-cronaca (moderatamente coordinata con BibCan e con la Frangia), più i soliti commenti da canale telematico.
L’esperienza, che l’ha salvata dalla noia in cambio di gran divertimento, è stata tuttavia moderatamente stancante. In specie nell’ultima serata di sabato, quando la ‘povna si è trovata a twittare arcobaleno, mentre, rispettivamente, nei gruppi di ascolto, da un lato doveva votare a spron battuto (in coordinamento con almeno dieci località geografiche diverse, più il polo stabile a Milano, a casa di Canta-che-ti-passa), dall’altro, con le amiche di C’è Bisogno, su telegram, oltre a parlare di Sanremo, seguiva la telecronaca di Juve-Napoli raccontatale da Connie (che la guardava su Sky), a sua volta poi ricommentata con Saimon sul gruppo degli Amicolleghi, in semi-diretta. Infine, per gradire, e non farsi mancare proprio niente, nel mezzo selezionava e metteva da parte materiali per le tracce dei temi delle Giovani Marmotte. La ‘povna è arrivata stremata al termine di questa simulazione di vita da homo zappiens che fanno i suoi alunni tutti i giorni , con una consapevolezza: che un’esistenza di tal fatta è stancantissima, e loro hanno proprio tutte ma tutte le ragioni per fare costantemente gli sdraiati.
La sua esperienza di Sanremo 2016 si potrebbe archiviare così, con queste notazioni a latere, ma restano due parole sulle canzoni, in teoria esisterebbe per quello. Per la prima volta in tanti anni, la ‘povna ha bucato il podio quasi totalmente (ha azzeccato solo il secondo posto di Caccamo&Cretina), senza accogliere nei primi tre posti né la Michielin, né i redivivi Stadio. Ma la vittoria del gruppo di Curreri (che non le fa dispiacere, se non altro per un autoreferenziale affetto vintage), inaspettata, le lascia tuttavia una serie di domande: una (quasi) profetica, l’altra legata al presente. Sulla profezia politica, la ‘povna si chiede, un po’ per scherzo, ma non troppo, quali informazioni questo evento le regali su Milano e il suo futuro sindaco (c’è chi ha reso paralleli con la vittoria del professore nel 2011, ma non è la stessa cosa, neanche per scherzo: se non altro perché Vecchioni sul palco il nastrino colorato lo avrebbe portato, come presenza militante): anche se, purtroppo, pare persino troppo facile ipotizzare in questo una anticipazione in figura della vittoria della finto-sinistra renziana di Sala. Per quanto riguarda il legame col presente, la ‘povna lo ha già detto: le è dispiaciuto che il gruppo che fu legato a Dalla abbia scelto di non portare i colori arcobaleno sul palco, e finire poi per rilasciare un’intervista dopo precisando di essere comunque d’accordo. Troppo facile, e anche un po’ furbetto: perché quando si parla di diritti negati è il tempo di scendere in piazza tutti, senza contare le troppe sfumature (pur legittime); solo dopo, quando quei diritti sono acquisiti, può essere allora il tempo di sottilizzare.
Finisce così, dunque, il Sanremo del grigiore, politico nonostante tutto, ma meno politico di quanto avrebbe potuto essere (grazie a Carlo Conti). Un Sanremo, alla ‘povna verrebbe da dire (del resto: sono tornati i leggings, le maglie triangolari e i pantaloni a sigaretta, e pure il cognome Bush tra i possibili presidenti dell’America), profondamente anni Ottanta. E in piena immagine di inarrestabile reflusso, il commento migliore su questa vittoria fuori tempo arriva dal figlio di Connie, che vedendo Curreri, commenterà, con la sua voce di innocente: “Ha una bella voce, per essere un uomo anziano”.