Sono 121 le persone che tra il 2012 e i primi tre mesi del 2013 si sono tolte la vita per cause direttamente legate al deterioramento delle condizioni economiche personali o aziendali: nel 2012 i suicidi sono stati 89, mentre nei primi tre mesi del 2013 32, il 40% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Nel Rapporto sui Diritti globali 2013 una ricerca della Link Campus University rileva come la precaria situazione economica personale avrebbe determinato il 49,4% di questi decessi, la perdita del posto di lavoro il 28,1%, i debiti con l’erario il 14,6% e il ritardo nei pagamenti da parte dei committenti il 7,9%.
Il 30% delle persone che si sono tolte la vita viveva nel nord-est, il 13,9% nel nord-ovest, il 25,8% nel centro, il 14,6% al sud e il 15,7% nelle isole.
Indubbiamente il fenomeno è rilevante e dovrebbe preoccupare. In attesa di un nuovo modello di sviluppo il dibattito è incentrato sulle risposte alla crisi in termini di rigore e tagli alla spesa: sbagliare i calcoli o enfatizzare una teoria zoppicante, per giustificare drastiche politiche di sacrifici e tagli vigorosi a spesa pubblica e Stato sociale, produce un effetto di condanna a morte per i piu’ poveri.
Eppure nessuno se ne sente responsabile e a nessuno ne viene chiesto conto, ma sopratutto nessuno a questi Cittadini fa funerali di Stato, come invece saranno fatti ai clandestini moti sulla spiaggia di Lampedusa; PERCHE’?