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La recente vicenda del Monte dei Paschi di Siena, se mai ce ne fosse stato bisogno, racconta il “B Side” di una classe dirigente italiana che non ha davvero più nulla da invidiare a quella di un qualsiasi Stato del Terzo Mondo. Quando le varie classifiche internazionali sulla corruzione o sulla trasparenza, o sulla competitività, ci collocano allo stesso livello del Botswana o del Ruanda… dobbiamo solo dare loro ragione.
Stridente paradosso, quello di un Paese che tanta eccellenza ha prodotto nella storia, al punto da divenire un “brand” nel mondo… con una classe dirigente che ha fallito tutto. Ha fallito nella politica (non c’è bisogno di aggiungere altro), nell’imprenditoria (a parte pochi campioni nazionali e tante medie imprese che lottano contro tutto e contro tutti per innovare, il resto è un groviglio di Pmi che rischiano presto l’uscita dal mercato globale), nelle professioni (rimaste incardinate a degli Ordini sepolcrali e antistorici), nella cultura (siamo riusciti a distruggere quanto di bello avevamo, non era facile)… e perché no? Anche nel giornalismo. Appiattito e asservito al potere. Qualsiasi esso sia. Solo per citare alcuni casi emblematici.
E’ come prendere l’Inter del Triplete di Mourinho e darla in gestione a Oronzo Canà. Avrebbe mai vinto scudetto, Champions League e Coppa Italia?
E’ un’Italia in profonda crisi strutturale da oltre 20 anni, che continua a chiedersi dove ha sbagliato. Il problema è che a chiederselo sono gli stessi che l’hanno rasa al suolo. La vicenda Mps è sconcertante: racconta il microcosmo di un’intera città, dove tutti erano amici di tutti, nel nome di una spartizione delirante delle risorse di una banca con oltre 500 anni di storia. Dove, dietro il paravento di una rispettabile istituzione, qualsiasi corrente di potere, di centrosinistra, di centrodestra, dei massoni o religiosa, pretendeva e otteneva soldi e potere. Alla faccia di qualsiasi logica di libera competizione e concorrenza. Il sistema ha retto finché ha potuto, nascondendo il marcio sotto lo zerbino. Poi è esploso tutto.
Il simbolo più lampante di una classe dirigente italiana da “zero tituli”, classe dirigente che negli ultimi 20 anni non ha vinto nulla. Anzi: ci ha fatto retrocedere in tutte le classifiche mondiali. Davvero incredibile: con la cultura calcistica che abbiamo, li avremmo esonerati dopo due mesi, se solo si fosse trattato di calcio… Altro che 20 anni!
Invece, mentre questa classe dirigente perdeva tutte le partite della storia, mandando in campo una massa di incapaci, incompetenti, mediocri e raccomandati, noi spedivamo i giovani talenti del nostro vivaio all’estero, dove -come insegnano decine e decine di storie pubblicate su questo blog- vincevano trofei a ripetizione. Portando a casa Champions League su Champions League. Ovviamente con una squadra straniera. I talenti che rimanevano qui, soffrendo, li lasciavamo in panchina. “Chi ti manda?” “Nessuno“… “Allora aspetta il tuo turno“. Che ovviamente non sarebbe mai arrivato.
Il futuro, se vogliamo evitare l’ultima e definitiva retrocessione, per cominciare magari a risalire di qualche categoria, passa dal richiamare questa classe dirigente da “Champions” qui. Affidando a loro e ai “panchinari-eroi” finora rimasti le leve del potere. Trasformandoli in classe dirigente. Punto. Senza compromessi. Chi ha sbagliato deve pagare. Tabula rasa.
Il futuro, aggiungo, passa per un ribaltamento radicale dei modelli. Il VINCENTE, in Italia, non è il raccomandato, il mediocre, il furbo, l’evasore fiscale, l’amico dell’amico, l’ignorante, il ladro. Quello è un PERDENTE.
Il vero VINCENTE, cari connazionali, è chi ha talento, chi gioca rispettando le regole, l’outsider, chi paga le tasse, chi ha investito in formazione, chi rischia e innova.
Finché non operiamo questa radicale trasformazione di punto di vista continueremo ad essere un “Paese ZERO TITULI”.
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