Più di trent’anni, una vita o quasi è il tempo trascorso dalla realizzazione del primo glorioso lungometraggio, Amore tossico, al nuovo progetto cinematografico, Non essere cattivo, fortemente sostenuto e promosso da Valerio Mastrandrea, che, per l’occasione, si è messo in gioco in prima persona, svolgendo il ruolo di produttore delegato, oltre a quello d’attore. Noi di Taxi Drivers Claudio Caligari, novarese di Arona, classe 1948, l’abbiamo sempre amato, fin dai tempi in cui di Amore Tossico non esisteva il dvd, ma girava solo una copia vhs, replicata un’infinità di volte, e destinata a continue visioni notturne. L’iperrealismo di Amore tossico non trova a tutt’oggi equivalenti che possano accostarvisi per intensità e profondità d’osservazione. Crudezza delle immagini a parte, Caligari riuscì a rappresentare con nitidezza il microcosmo dei tossicodipendenti raccontandolo dall’interno. Da questa originale ricognizione emergevano l’umanità e la sofferenza di uomini e donne avviluppati in una spirale vorticosa, quella dell’eroina, che se da un lato creava un vuoto in cui non si poteva che sprofondare, dall’altro, paradossalmente, lo riempiva, dettando i tempi e i modi di uno stile di vita ben determinato. Lo slang assumeva un ruolo essenziale nel restituire stati emotivi di un mondo che, in virtù delle sue esigenze e dei suoi scopi, creava un linguaggio innovativo, al quale Pasolini avrebbe sicuramente riconosciuto valore culturale.
Chi scrive ricorda con piacere l’incontro avuto con il regista qualche anno fa, proprio in occasione della proiezione del suo primo film. Caligari era un fiume in piena, inarrestabile, incontenibile, ansioso di raccontarsi e restituire totalmente il contesto cinematografico, politico e umano, all’interno del quale cominciò e si sviluppò il suo personalissimo itinerario artistico. In quell’occasione ci raccontò delle vicende che segnarono il suo percorso umano e professionale, senza celare un’evidente amarezza. Amore Tossico, a causa di un produttore disonesto, uscì nelle sale molto tempo dopo la sua realizzazione e con un numero esiguo di copie. Il film venne presentato al festival di Venezia nel 1983, insieme a nomi del calibro di Fellini e Godard e riuscì a aggiudicarsi, in una sezione parallela, il premio “De Sica”.
Ci sono voluti ben quindici anni prima di vedere il suo secondo lungometraggio, L’odore della notte, anch’esso divenuto in breve tempo, un piccolo caso, un film di culto per i sostenitori del regista. Il film metteva alla gogna l’opulenza della media e alta borghesia italiana a cui opponeva il residuo storico di un sottoproletariato che resisteva delinquendo, producendosi in gesti violenti che rievocavano, per certi versi, il capolavoro di Kubrick, Arancia Meccanica. In quegli anni drogati dalla concentrazione del potere mediatico, Caligari produsse di nuovo un’opera scomoda che anche per la contestazione politica – la sequenza finale con il furto in casa del politico democristiano – trovò molti ostacoli alla sua diffusione e alla legittimazione del suo reale valore. I riferimenti cinematografici erano il polar francese di Melville, il primo Sautet, quello di Asfalto che scotta, e, naturalmente, Martin Scorsese. Caligari a proposito del film ci disse: ”Di cinema italiano c’è ben poco. C’è dentro soprattutto Bresson. La casa di Remo Guerra (Valerio Mastrandrea) è costruita su quella di “Pickpocket” (1959) e di “Le samouraï” (1967) di Melville. Sono case che vedevo al cinema quando avevo vent’anni. Erano costruite in teatri di posa, ma all’epoca non lo capivo. Mentre, ad esempio, la casa che si vede in “Taxi driver” (1976) di Scorsese è vera. Bene, ho fatto un mix di tutte queste case e perciò automaticamente posso affermare che queste sono state le mie influenze. Per quanto riguarda Remo Guerra devo dire che ha qualcosa soprattutto di personaggi solitari come Alain Delon o Jean-Paul Belmondo”.
Bene, dopo vent’anni finalmente una nuova grande occasione per realizzare un film che, non ne dubitiamo, sarà un’altra volta disturbante, andrà a scavare nelle profondità delle periferie, mostrerà senza veli delle realtà troppe volte censurate e darà luce laddove i riflettori sono spenti. Aspettiamo con ansia.
Luca Biscontini