Magazine Cultura
Claudio Milano e nuovi progetti- Bath Salts (Nichelodeon) e L’Enfant et le Ménure (InSonar)
Creato il 31 ottobre 2013 da Athos Enrile @AthosEnrile1Ad estate inoltrata Claudio Milano mi invia il suo nuovo lavoro, un cofanetto carico di storia, a cui mi avvicinerò gradualmente: il materiale è tanto, e sento subito nell’aria l’importanza del contenitore che mi passo da mano a mano, scrutando con un certa riverenza la confezione. Conosco Claudio da un po’ di anni, ho ascoltato la sua musica, l’ho visto in fase live, ho scambiato con lui commenti e informazioni varie, ma ogni volta che mi trovo a sintetizzare il suo impegno utilizzo un approccio di estrema cautela e rispetto, avendo la quasi certezza di trovarmi davanti ad un genio a cui non potrei fornire alcun valore aggiunto descrivendo con le mie parole la sua arte. Proverò a lasciarmi andare, correndo il rischio di andare fuori tema, lasciando da parte quel poco mestiere che conosco, agendo come farebbe un bambino o l’ascoltatore casuale, nel caso sentisse l’esigenza di trasporre il suo sentimento del momento. La parte oggettiva è garantita dall’intervista a seguire, e di fatto da sola basterebbe a raccontare la vita racchiusa nei due progetti presenti nel cofanetto, due doppi album targati Nichelodeon - Bath Salts - e InSonar - L’Enfant et le Ménure, progetto di Milano e Marco Tuppo. Lavori diversi per raccontare la Storia, il presente e ipotizzare un futuro che nessuno potrebbe prevedere roseo. I rapporti umani e le relazioni trasversali diventano l’argomento principe - e come potrebbe essere il contrario - mentre il mondo, visto attraverso l’occhio di innocenti, assume altro aspetto, nuovo valore, e forse recupera la sciagura che arriva dall’insensibilità del quotidiano. Occorre fare uno sforzo supplementare e andare oltre l’ascolto. Il lavoro che Milano ci regala è monumentale, e nel caso di InSonar il coinvolgimento di un elevato numero di musicisti provenienti dai cinque continenti testimonia al contempo l’originalità della proposta e l’amore indiscusso che Claudio riesce a suscitare nelle persone che incontrano lui e la sua musica. Ma trovo sempre un certo malessere, un ‘insoddisfazione, una situazione di grande disagio che faccio fatica a decodificare e che riesco solo a percepire tra le righe. In questo senso Bath Salts /L’Enfant et le Ménure mi appare come una sorta di eredità, di raccolta precoce di quanto realizzato sino ad oggi, come se ci fosse la paura che il nostro vivere attuale possa portare via il tempo, anche quando si è giovani come Claudio. Lui è un artista completo e colto, capace di viaggiare senza alcuna difficoltà tra Hammill e Brecht, tra Eno e Buckley, tra Bowie e i Velvet, tra il sacro ed il profano, attraversando la differenti religiosità e diversi modi di vivere e di pensare. La sua musica non credo sia poi così facile, perché percorrere stili diversi, proponendo un’avanguardia spinta, utilizzando lo strumento “voce” per perlustrare sentieri inesplorati, richiede al ricettore una predisposizione all’ascolto e al nuovo che spesso viene a mancare, in giovani e meno giovani. Ma affrontare senza pregiudizi questo progetto porta a scoprire ciò che non ci si potrebbe mai aspettare, e questo può accadere anche senza essere a conoscenza dell’iter realizzativo, delle partecipazioni, delle collaborazioni, anche se occorre dire che mai come in questo caso l’art work è da considerarsi inscindibile dalla proposta musicale. La mia chiave di lettura porta a consigliare un ascolto “leggero”, il primo, lasciandosi andare e rimandando alla volta successiva la conoscenza dei dettagli. Cosa potrebbe succedere? Ero in auto, un lungo viaggio, e la voglia di ascoltare tutto di fila. La mia giovane figlia accanto a me. Il quarto brano di Bath Salts,Surabaya Johnny, è qualcosa di conosciuto, poco amato nella mia cecità adolescenziale: la tv in bianco e nero e Milva che aumenta la mia tristezza della domenica sera, anche quella in bianco e nero. Accompagnamento acustico e poi la voce di Claudio, che la mia bambina apostrafa con stupore come quella di un “attore”. In quella canzone c’è tutto, Milva, Brecht, e un Claudio Milano capace di farmi vedere la bellezza di una perla rimasta nascosta per lustri, e che solo grazie a lui potevo vedere brillare. Alla prima sosta in autostrada è partito un messaggio, perché d’impulso ho sentito la necessità di ringraziare…
L'INTERVISTA
Anche se complicato, ti chiedo di sintetizzare lo spirito racchiuso in Bath Salts, le storie che, pur separate, si miscelano tra due differenti progetti. "Bath Salts” parla di cannibalismo nei rapporti interpersonali, di un'epoca in cui il disagio porta alla svalutazione di ogni legame, affetto, nella quale la mancanza di riferimenti in momenti di difficoltà conduce a ricorsi storici assai pericolosi in termini economici, politici, socio-culturali. Il titolo fa riferimento ad una droga di sintesi che, come il Krokodil, rappresenta in maniera dichiarata rabbia che esplode e consuma sé stessi e chi è attorno in maniera rapida, definitiva, irreversibile. Le droghe sono sempre a modo loro la rappresentazione di un periodo culturale, quanto oracoli che in maniera ossessiva annunciano una fine non intesa come rinascita; il ritorno alla luce delle destre estreme; il credere che ci possa essere un'egemonia culturale a discapito delle altre: gli Stati Uniti che con la scusa della difesa dal terrorismo controllano tutto quello che siamo e diciamo. Il disco nasce da una riflessione maturata attorno a “La Recessione” di Pier Paolo Pasolini, da un periodo di profonda crisi e cambiamento dunque, che ha investito la mia vita nell'ultimo anno. Ho creduto profondamente di aver perso ogni valore assieme ad una mia cultura ormai in cancrena; ho pensato e sperato di potermi “vendere” al mercato nero organo per organo per ricambiare i sacrifici compiuti dai miei genitori per me e ho trovato in rete una valanga di disperati che lo avevano già fatto. Ho letto testimonianze, ho visto immagini e ho avuto paura. Ho capito che tra l'epoca in corso e quella tra le due guerre in realtà non c'è particolare distanza, abbiamo identificato in maniera infantile i bisogni immediati (non sempre i più importanti) con il solo denaro e la sua assenza ci ha fatto credere di essere in crisi culturale, di non avere più valore. Abbiamo dimenticato di essere capaci di trasformare le nostre vite, di saper costruire momento per momento, di avere risorse inimmaginabili e le abbiamo bruciate sull'altare di un'era dei consumi ormai al tramonto. Ho pensato a Brecht e Weill e ne ho cantato suoni e versi, ho ridotto la mia scenografia, di solito assai ricca a un ambiente beckettiano, ma non ne ho voluto prendere i cinismo. Il cinismo è una brutta bestia, ha un fascino decadente, aiuta a sopravvivere ma non a vivere, non genera speranze e quantunque dovesse farlo le fabbrica troppo fragili. Le speranze vanno messe alla prova perché acquistino solidità. Il brano conclusivo di “Bath Salts”, su testo di Brecht e musiche di Fiorenzo Carpi recita “Portami un fiore ma da un cespuglio che cresca mezz'ora almeno dalla casa dove stai. Così obbligato sarai a camminare per farti forte ed io per quel bel fiore ti ringrazierò”. Un nuovo umanesimo nasce da uno sforzo individuale per gli altri. Senza compassione, senza amore indiscriminato oggi non abbiamo futuro. Io per rigenerarmi ho avuto bisogno di ridurre tutto all'essenziale, alla preghiera, alla fiducia negli altri e ho invertito la rotta, ho smesso di “prendere” dall'ambiente per “immettere”. Già al primo ascolto ho avuto l’impressione di essere in possesso di un lavoro dalle dimensioni enormi, dalla qualità inusuale, e da un impegno che sembra impossibile da affrontare. Sono andato fuori strada? L'impegno di fatto è stato affrontato. “Bath Salts” è nato per necessità di dire, urgenza espressiva. La valutazione della sua qualità non spetta a me, anche se l'esperienza umana che ne è derivata è stata enorme. Lo scambio avuto con chi vi ha partecipato è stato quanto di più puro io abbia conosciuto. Le dimensioni di questo lavoro non mi sono ancora del tutto chiare, tant'è che a tornare a comporre oggi non saprei da dove iniziare, mi sento svuotato, ma penso queste dimensioni possano essere ridotte davvero a un granello di sabbia che è fine e nuovo inizio.
Una cosa che mi ha colpito è il grande numero di persone che sei riuscito a coinvolgere. Come sono nate le collaborazioni, italiane e straniere? Assieme a “Bath Salts”, come cofanetto contente 2 doppi album è stato pubblicato un lavoro in programma da tempo, “L'Enfant et le Ménure” del progetto InSonar, con Marco Tuppo e 62 musicisti da 5 continenti. Credo si tratti dell'opera di networking più imponente mai realizzata. Questo è stato un lavoro d'espansione, il disco dell' “itai doshin”, della comunione d'intenti, più menti per un unico obiettivo. “Bath Salts - il disco della rivoluzione umana”, per come l'ho nominato, conta una trentina di collaborazioni ma per lo più in termini di interscambio diretto, in studio ed è un disco nel quale tutto sembra ridursi a voce, arpa e suoni della natura, nonostante di fatto siano coinvolti strumenti d'ogni sorta. “L'Enfant et le Ménure” è invece un disco giocoso dove sono testati i limiti strutturali e timbrici di voci e strumenti, dove vuoti e pieni si alternano creando una differenziazione evidente di linguaggi, una sorta di Babele, una festa che parla delle possibilità che offre il potere dell'immaginazione quando si conservano occhi infantili. L'ottantina di musicisti e artisti visivi coinvolti complessivamente sono stati contattati nel corso di diversi anni o mi hanno contattato per esprimere stima nel mio lavoro e le collaborazioni son nate un po' per volta, non si tratta di qualcosa di studiato, ma di accaduto. Come, ancora non mi è chiaro, so solo di averlo voluto, molto.
Anche l’art work mi pare inscindibile dalle storie che racconti. Mi dici qualcosa in più? Per InSonar ho lavorato con Marcello Bellina dei MoRkObOt e Arend Wanderlust, il primo nei panni di illustratore, il secondo come mosaicista. Il perché del mosaico per un lavoro del genere appare chiaro, tanto più se fatto di tessere e fili, come nel caso di Arend, i cui mosaici incantano ma parlano di relazioni, pieni e vuoti ad accompagnare “Ashima” secondo dischetto del progetto dal taglio assai cosmopolita come in “La Torre più alta” e “Medina”. Le illustrazioni di Marcello, in arte “Berlikete” (il cosiddetto Babau o uomo nero) hanno un carattere noir, raccontano storie tremende viste con la fantasia di un bambino che le accomoda a fiaba. Questo è il tema di “L'Enfant”, primo disco del progetto, con brani dichiaratamente volti in tal senso come “L'Estasi di Santo Nessuno” e “Dieci Bambini Cacao”. Per “Bath Salts” tutto è nato dall'incontro con Effe Luciani, artista geniale e per molti versi inafferrabile, ma mai sfuggente. A lui illustrazioni ma anche percorsi di poesia visiva davvero intriganti a penetrare il senso nascosto delle parole e renderle percorso di vita e visione.
Avverto nell’aria un senso di nostalgia per tempi lontani, quando la semplicità rendeva gli uomini sereni. Che cosa ci insegna la storia? E come si racconta la storia in musica? E' qualcosa di associabile solo a “Bath Salts”, “L'Enfant et le Ménure” ha un sapore ben più moderno, anche se il cofanetto in sé, incartato a mano, numerato, dipinto copia per copia e avvolto con dello spago, ha certo un sapore artigianale. Ogni confezionamento mi porta via 20 minuti di tempo. C'è certo nel lavoro complessivo la volontà di tornare ad un sapore autentico, ma non necessariamente “antico”. Qualcosa in questo senso s'è mossa da tempo con la mailing art, in musica poi, ci sono stati i lavori di Alio Die, Mariolina Zitta e numerosi land musicians, ma anche produzioni ben più imponenti come diverse pubblicazioni Snowdonia, da Maisie all'ultimo, impagabile Deadburger; i dischi della dEN, passando per “Have One on Me” di Joanna Newsom; “Strobo Trip” il cofanetto con lecca lecca, chiavetta USB con canzone da 6 ore ad opera dei Flaming Lips; il bellissimo fonodramma del Babau e i Maledetti Cretini: “La Maschera della Morte Rossa”; le produzioni di Davide Riccio, quelle di Vittore Baroni; il ben più lontano negli anni “Ladies and Gentlemen We Are Floating in Space” degli Spiritualized, nella prima edizione, racchiuso dentro un enorme scatola per medicinali con bugiardino incluso e blister ... C'è un mondo di meraviglia attorno, che da anni riduciamo ad ovvio ma che tale non è. Comunque, credo possano esserci uomini sereni e inquieti ad ogni epoca e latitudine, il tutto dipende dalla nostra capacità di reazione alle difficoltà, ogni periodo storico ha le proprie ma è giusto valutare come alcuni ne abbiano di più. Quello che stiamo vivendo se non avremo un'inversione di marcia rischia di essere solo l'inizio di un'umanità difficile a meno che non si abbia capacità di reazione immediata che inizi dalla consapevolezza e che porti alla reazione mirata. Non serve essere consapevoli se non si genera una reazione di causa-effetto per primo luogo nelle nostre vite, nelle micro-comunità e poi pian piano in dimensioni sempre più ampie su scala globale e non è detto ci voglia chissà quanto tempo. Siamo noi che creiamo il tempo dandogli valore. Mi fa sorridere il fatto che in periodi in cui la gente non trova lavoro nei campi qualcuno vada a farsi vacanze rigenerative vendemmiando, trovo imbarazzanti i freakkettoni sulle spalle di genitori facoltosi. La storia la giriamo e la rigiriamo a nostro piacimento ma i fatti restan fatti. Oggi è tempo in cui a parlare come sto facendo io ci si sente urlare addosso “comunista!” e nessuno si scandalizza nel vedere la televisione che andrebbe banalmente spenta perché allo stato dei fatti irrecuperabile, ci ha trasformato tutti in voyeur, anche se un grazie a gente come Bollani, o meglio, a chi gli ha permesso di lavorare come sta facendo, è d'obbligo. Tanti vorrebbero essere al posto di chi spadroneggia seminando solo orrore. Siamo in guerra, da tempo, ma all'orrore ci siamo accanto, come ad avere vicina la sacralità di un corpo ridotta a carogna marcescente mentre facciamo jogging allegramente, cosa che abbiamo visto attraverso le telecamere a Lampedusa. In musica è la stessa cosa, ognuno racconta la storia a modo suo, da musicista, da giornalista, da ascoltatore, ognuno con i propri mezzi, ma sarebbe bello venisse dato spazio a chi almeno ha consapevolezza di quello che dice sulla base di conoscenze effettive e non presunte tali. Basterebbe anche solo ascoltare, non sentire, a volte tacere, per ore, giorni, mesi se necessario e saremmo salvi da un inquinamento acustico che ci ha consumato le speranze. Se si parte da noi stessi non avremo bisogno di rifondare un sistema culturale conducendolo alla sua distruzione, cosa che facciamo da secoli e che non ci fa brillare certo di intelletto come razza. Noi abbiamo bisogno di distruggere per sentirci vivi e capaci, abbiamo bisogno di smontare i nostri giochi più belli, non risolviamo fino alla fine dei nostri giorni il nostro debito con la terra, con i nostri genitori. Così la storia è riducibile ad un gioco immaturo, nella quale il mio e il tuo (quello di Athos), sforzo quotidiano, serve “solo” a portare benessere a noi stessi e alle nostre comunità. Un'oligarchia di iene e qualche martire da essa creato per giustificare una controparte invece, finiranno nei libri. Fin da bambino mi sento ripetere una sola affermazione “fatti furbo”. Preferisco un filo d'erba e milioni di sorrisi senza nome che hanno dato luce al sole, ad una qualsiasi pagina di un libro. Preferisco credere che la speranza sia cosa da costruire portando valore in ogni attimo della propria vita, che si fortifica quando superiamo il credere solo nella realizzazione dei nostri bisogni primari per rilanciare attraverso dei sogni grandi che vanno trasformati in realtà, perché siamo noi a creare la nostra realtà. Nessuno può fermare i nostri pensieri neanche quando cerca di censurarci, castrarci, zittirci, neanche se ci ammazza. Questa è la “mia” storia in musica.
Mi hai accennato ad un “incidente” di percorso che ti è capitato mentre ti esibivi in Surabaya Johnny: lo puoi ricordare ai lettori? Ognuno ha la sua idea di performance, per me è interazione nella quale ogni gesto viene tramutato in bonifica e gioco di relazione maturo, come in un setting di musicoterapia. Non è della stessa opinione Nicola Frangione, performer monzese direttore del Festival internazionale “Harta Performing”. Era tra il pubblico della Galleria “Villacontemporanea” di Monica Villa (persona davvero di valore), durante la mia performance per sola voce e pubblico “Playvoice”, nata dal teatro vocale di strada, tra Lecce e Torino. A detta dei presenti in sala, Frangione ha prima intrattenuto conversazioni polemiche con Monica, accusandola di invitare a performare “cani e porci” e non lui. In questo ovviamente, il titolo di cane e/o porco spettava al sottoscritto. Rumoreggiava entrando e uscendo dalla sala cercando di portare il proprio parere ai presenti fino a che per personali convinzioni ha voluto “interagire” con me provocandomi prima sessualmente in pubblico in modo ironico (“kiss me”, “do you want have sex with me?”… ) poi disegnandomi una croce in fronte dandomi del morto, urlando la sua opinione di svolgimento di una performance, strappando tutti i fogli che avevo usato fin lì per cantare ed impedirmi di fatto di continuare. Ho comunque inserito come bonifica il suo intervento nel tutto, giocando, al punto che il pubblico non si è accorto di nulla prima della sua esplosione finale, salutata con un mio “Ciao amore ciao” di Tenco e sua ulteriore disapprovazione nell'urlarmi imprecazioni addosso. Cosa continuata per il resto della sera in un locale a fianco finché il signore in questione non è riuscito a baciarmi (?!) ed è stato allontanato. Un quadro chiaro, quello di una persona impaurita, da cosa non posso saperlo, ma solo chi ha paura aggredisce così. Un quadro che non avrebbe avuto alcuna eco se il pubblico, composto anche da diversi bambini che avevano disegnato cose a cui io ho dato voce, non fosse rimasto davvero imbarazzato e interdetto e io non avessi avuto un malessere in tarda serata a causa della tensione accumulata e l'essermi sentito violato. Nei giorni successivi sono stato chiamato più volte per delle scuse e per essere invitato all' “Harta Performing” con affermazioni quali, “sono ingiustificabile ma non ritratto le mie convinzioni, partecipi al mio Festival?”... è umano provare rabbia ma ha più ragion d'essere sviluppare compassione. La lezione che mi son visto ribadire è che chi fa più rumore e in modo volgare ha apparentemente “vinto” comunque, perché quella serata sarà ricordata come quella di Frangione. Tutt'oggi ricordiamo Hitler nei libri di storia ma non i nomi di chi ha fatto uccidere, declinando ad altri il compito di boia, quegli “altri” che oggi, come Priebke, vengono a loro volta dichiarati “vittime della storia”, manco non avessero avuto possibilità di scelta. A volte però morire dignitosamente può servire per rinascere e far rinascere, a volte è giusto ricordare che vince solo chi si sente sereno e io in questo momento lo sono.
Come si porta sul palco un’opera monumentale come quella che hai/avete realizzato? Arpa, voce, un cavo elettrico e un po' di silenzio possono bastare.
Dedico questa intervista allo “zio” Todaro che sto accudendo in questi giorni, al mio maestro Dany Zebra e a Valentina Campagni, da poco sposa.
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