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Clemente Valacca: “Maje”

Creato il 21 settembre 2010 da Cultura Salentina
Valacca

Clemente Valacca (Maglie, 1870-1926)

Maje se stenne sutta a la funnina

Tutta ianca e nc’è ntornu l’ulivetu;

lu campanaru a l’aria alabastrina

spicca; luce la cocula; de retu

comparisce la chioppa verdulina

del quarche pignu; mmenzu nu fichetu

cantane le caruse a stisa china;

do’ nnamuratu cuntane ‘nsecretu.

E ntuttu è pace. O Maje, aggi ricchezza,

si putente pe sempre e sinti unita

comu li neddhi d’oru de lu stemma.

Paese meu, pe mie si na bellezza,

sinti lu core, l’anima, la vita,

sinti la Pasca doppu la Caremma.(1)

Questa bella poesia, così piena di amore per la mia “terra” e così piena di speranza è come un respiro profondo che riempie i polmoni e ti fa sentire vivo. L’autore fu il magliese prof. Clemente Valacca (1870-1926) il quale la pubblicò nel 1893, firmandola col nome in forma dialettale di Crimente Valacca, in “Maglie Giovane” (2), famoso giornale della città nel quale apparvero altre quattro poesie. Ma chi era il Valacca? Magliese, era figlio di un agiato imprenditore di opere stradali. Per desiderio del padre di continuare la sua attività, fu avviato alla frequenza delle  scuole tecniche, prima a Lecce e poi a Bari. La sua però era una vocazione umanistica vera e perciò attese ai primi studi ginnasiali a Maglie per poi passare in Lecce per quelli liceali. Nel 1893 fu a Firenze per completare gli studi intrapresi nel Salento sino a laurearsi nel 1894 con la tesi dal titolo “La vita e le opere di messer P.F. Giambullari”. La stessa fu pubblicata a Bitonto nel 1898. Interessante è anche un poemetto polimetro di 278 versi intitolato A Santa Dumìnica oltre ad otto componimenti ancora inediti.

Come spesso accade ai nostri illustri conterranei, anche il nostro letterato salentino rischia di passare nell’oblio pur essendo, nelle parole di Emilio Panarese, «il più raffinato dei poeti dialettali magliesi dell’ultimo Ottocento» (3). Il prof. Donato Valli dell’Università del Salento, a proposito dei componimenti apparsi su “Maglie Giovane”, afferma che «essi solcavano le acque, ancora inesplorate dai rimatori dialettali salentini [...], dell’intimismo lirico e meditativo di lontana risonanza leopardiana» (4). E come non concordare con questa affermazione quando in Maje chiaramente si esprime un poeta che, dopo il prologo paesaggistico (Maje se stenne sutta a la funnina…), si ancora alla concretezza realistica e popolare (mmenzu nu fichetu cantane le caruse a stisa china; do’ nnamuratu cuntane ‘nsecretu…) tutta pervasa dal senso di smarrimento e di pace (E ntuttu è pace [...] Paese meu, pe mie si na bellezza,sinti lu core, l’anima, la vita, sinti la Pasca doppu la Caremma…). Ma il tono speranzoso che il Valacca esprime nei versi “O Maje, aggi ricchezza, si putente pe sempre e sinti unita comu li neddhi d’oru de lu stemma è forse il punto centrale di tutto il componimento perché riflette le paure del poeta di fronte ad una città che, crescendo a dismisura in quel fine Ottocento, andava affermandosi sempre più nel campo economico e politico. Le ascese di potenti famiglie e gli interessi commerciali-politici, consacrati nella costruzione di lussuosissimi palazzi, allargamento e apertura di nuove strade ecc. indubbiamente avrebbero leso alla pace e alla coesione della comunità e ciò, nell’animo del poeta, era terribile. Per questo motivo, la poesia Maje sembra proprio un messaggio diretto alla comunità magliese colta e ricca la quale nel prestigioso “Convitto Capece” aveva il suo riferimento. Ancora una volta il Valli non erra ad affermare che nel poeta influiscono le risonanze «di una comunità cittadina formata da evoluti artigiani, piccoli industriali, attivi commercianti consapevoli della cultura non meno che dell’economia» (5). Purtroppo il Valacca fu sorpreso dalla morte e ciò proprio quando il suo sfogo brillante e creativo coincise con la sua maturazione poetica. Quel che ci resta del Valacca è, tuttavia, una produzione non molto ampia ma di rilevante merito sia per il valore culturale che essa trasmette e sia per quel senso di appartenenza ad una terra che la storia continua ingiustamente a relegare in secondo piano: la storia del Salento e la sua cultura.

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(1) (Maglie si estende al di sotto di una “valle”/ tutta bianca e intorno c’è l’uliveto/ il campanile alla luce alabastro del mattino spicca / la luce la coccola/ dietro appaiono le chiome verdi di alcuni pini; / nei ficheti le giovani cantano in continuazione; / due innamorati parlano segretamente. / E tutto è pace. O Maglie, abbi ricchezza / che tu sia potente per sempre e unita/ come gli anelli d’oro del [tuo] stemma. / Paese mio, per me sei una bellezza, / sei il cuore, l’anima, la vita, / sei come la Pasqua dopo la Caremma [i giorni della Passione]/) (2) Maglie Giovane, Anno I, n. 9, 19/11/1893. (3) E. PANARESE, Le vie di Maglie ieri ed oggi (1483-1987), Maglie 1987, p. 111. (4) D. VALLI, Il gruppo di Maglie, sta in «Storia della poesia dialettale nel Salento», 19(2003), p. 163. (5) Ib.


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