In Moldavia è caduto il governo filo europeista dopo gli scandali che hanno rivelato come un ottavo del Pil nazionale sia misteriosamente scomparso e nella confinante Romania è accaduta la stessa cosa anche se con modalità diverse: il governo Ponta si è dovuto dimettere dopo la tragedia nella discoteca di Bucarest che ha aperto l’ennesimo cahier de doleance (con 32 morti) della corruzione. E difficile fare un discorso politico in Paesi che vivono costantemente sotto pressione occidentale, sottoposti a ricatto economico, all’ossessivo finanziamento di movimenti arancioni o pseudo tali per costringerli dentro il recinto europeo e Nato, usati come territorio di delocalizzazione e/o di conquista per i pescecani multinazionali. Senza alcun rispetto né per la democrazia, né per le persone tanto da suggerire l’appoggio a movimenti apertamente neo nazisti come è accaduto in Ucraina e come accade proprio oggi in Croazia, pur evitare defezioni.
Una cosa però salta agli occhi: dopo la caduta del comunismo nei Paesi dell’est non si è affermata la democrazia, sia pure eteroguidata, ma una sorta di cleptocrazia che nell’impossibilità di governare questi Paesi in maniera autonoma, si dedica costantemente alle ruberie e alla relativa corruttela, spesso condita e nascosta da feroci nazionalismi compensativi: da questo nasce la marcia delle camicie nere oggi a Zagabria nel giorno delle elezioni, guidate da un criminale di guerra accusato di stragi odiose nei confronti dei Serbi, ma che non è mai stato perseguito internazionalmente semplicemente perché era un boia, ma tuttavia il “nostro boia” come direbbero a Washington e ripeterebbero pappagallescamente a Bruxelles. qualcosa che ha a che vedere anche con l’aspirante nazi da bar e da privè Salvini.
La cosa interessante di tutto questo è che anche nell’Europa più occidentale la corruzione cresce a dismisura, man mano che si riduce l’autonomia dei programmi possibili e di conseguenza l’agibilità politica: era contenuta quando il vincolo esterno era quello di rimanere dentro l’alleanza atlantica, è divenuta dilagante quando con l’euro si è persa qualsiasi possibilità di fare politiche di bilancio. Ogni Paese ha la sua via peculiare di esprimere la realtà di questo fenomeno di neo colonialismo finanziario: se in Italia prevale lo spirito di clan che crea mafie come scatole cinesi e uno stretto contatto tra politica e affari, in Germania si esprime con uno stretto collegamento tra sistema bancario locale e milieu politico, in Francia come grandeur della mazzetta: una delle ragioni della bellicosità francese prima in Libia e poi in Siria è solo in parte giustificata dalla voglia di fare la voce grossa per nascondere ai francesi la subalternità alla Germania e la sottomissione, attraverso di essa, ai poteri finanziari, con esiti talvolta ridicoli (vedi nota), ma deriva anche dal fatto che la politica riceve sostanziosi contributi elettorali dal medio oriente, dalla Turchia e dall’Arabia Saudita in particolare.
E’ davvero un’illusione quella di sconfiggere la corruzione endemica dentro sistemi formalmente democratici, ma privi di possibilità di scelta, dove il ceto politico può solo essere un megafono e gestire il giorno per giorno: non bastano certo i relativamente pochi magistrati con la schiena dritta o le coalizioni degli onesti o le invocazioni etiche. Il male sta nella radice.
Nota. Quando nell’estate del 2011 la Francia creò – su commissione di Washington e in seguito agli accordi di Lancaster house – l’esercito Esercito siriano libero dalle cui costole nascerà poi l’Isis, mise a capo dei tremila uomini di Al Quaeda in gran parte importati dalla Libia, il colonnello Riyadh Al-Asaad, pensando che questo servisse a dare una vernice siriana all’operazione e che la quasi omonimia con Bashar al Assad favorisse l’opera dei “terroristi buoni”. Si sperava che si pensasse a una frattura in seno alla famiglia Assad. In realtà gli strateghi francesi non avevano pensato che in arabo questi due cognomi così simili nella fonetica hanno una grafia completamente diversa per cui il trucchetto non solo non funzionò, ma ebbe anzi il risultato contrario, quello di togliere qualsiasi illusione sull’origine autoctona del terrorismo.