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Coalizione Perfetta, pt. 1

Creato il 18 aprile 2011 da Emanuelesecco

Di seguito il racconto da me presentato alla redazione del Corriere della Sera per l’iniziativa io.scrivo (chi non ne sapesse niente può guardare qui). Visto che lo scritto non è stato approvato, probabilmente sarà stato giudicato troppo volgarotto e contrario alla cazzo di morale comune, ho deciso di pubblicarlo qui, visto che ancora non sono arrivato al punto di mettermi da solo i bastoni tra le ruote con inutili e bigotte censure.
Solo per voi, una specie di regalo che ho voluto farvi. Spero che almeno a voi piaccia :-)
Ed ecco a voi… Coalizione Perfetta.

 

 

CAPITOLO 1
SANTINO E AMANDA

sabato, ore 23.00
-Scusa, hai da accendere?-
Molte volte le persone non capiscono quando bisogna lasciare in pace quello sconosciuto seduto su una panchina, con il volto fra le mani, che respira affannosamente come se stesse dormendo e fosse preda del peggiore degli incubi. Se poi parliamo di quelli che ti chiedono una sigaretta o vogliono anche solo un barlume di fiamma per potersi fare la loro spipacchiata in pace, be', non ci sono parole. Molti di essi non hanno ritegno, non gli interessa se stai piangendo, se ti sta venendo un infarto o che altro, vogliono semplicemente fumare. E molti di loro sono pronti a tutto pur di farlo.
-Scusa... ti ho chiesto se hai da accendere...-
Ancora.
Santino cominciava a non sopportarlo più. Diciamo che l'alternativa più allettante sarebbe stata quella di sfoderare la '38 dalla fondina interna della giacca e sparare a quel rompicoglioni, tanto poi ci avrebbe pensato il don a coprirgli le spalle, ma forse non ne valeva la pena di arrivare a tanto. Avrebbe potuto semplicemente alzarsi e mollargli un paio di pugni in pieno volto, ma in fondo si trattava del solito scocciatore convinto che se non sarebbe riuscito a fumare entro i prossimi tre secondi le coronarie gli sarebbero esplose e allora goodbye, tanti saluti.
-Allora... hai da accendere sì o no?!-
Meglio passare alla diplomazia.
Santino tirò su col naso, si alzò dalla panchina e, guardando lo scocciatore dritto negli occhi, urlò, -ma vaffanculo, imbecille!-
Se il tizio avesse risposto in malo modo ci sarebbero stati un paio cazzotti in faccia. Se poi avesse perseverato, be', c'era sempre la '38.
Lo scocciatore, un ometto alto non più di un metro e sessanta, con un buon principio di calvizie e la barba sfatta, balzò all'indietro dalla sorpresa, scosso da quell'improvvisa reazione, facendo cadere la sigaretta che teneva tra le labbra. Rimase così a fissare Santino, con occhi e bocca spalancati, una faccia un po' da pesce lesso. Cominciò persino a tremare visibilmente.
A Santino non era mai capitato di assistere ad una tale reazione, eppure aveva mandato a quel paese un bel po' di voglioaccendere-boys. Gli faceva quasi pena, così si mise una mano in tasca e tirò fuori lo Zippo, porgendolo poi verso lo scocciatore, che se ne stava ancora lì a tremare e a fissarlo con gli occhi sgranati.
-Be'?! Adesso che hai? Non volevi accendere?-
L'ometto emise un rantolo soffocato e, nel giro di pochi secondi, crollò a terra con un tonfo sordo. Non tremava più. Gli occhi ancora aperti fissavano il vuoto. Una piccola striscia di saliva cominciò a uscire dalla bocca spalancata.
Santino lo guardò ancora per qualche minuto, con un misto di sorpresa e divertimento, dopodiché si avvicinò al corpo, si chinò in avanti e raccolse la sigaretta che il tizio aveva lasciato cadere a terra dopo la rispostaccia ricevuta. Si rialzò, e sempre tenendo lo sguardo fisso sull'ometto, si accese la sigaretta e fece il primo tiro, gustandoselo profondamente.
-Hai visto che fumare fa male? Tanti saluti, amico.-
E con quest'ultima battuta, che poteva tranquillamente essere tratta da un film di John Wayne, Santino si incamminò per le strade della città, illuminate da pochi lampioni, e pullulanti di quella vita della quale la gente normale non vorrebbe mai venire a diretta conoscenza.
Niente male come scena, pensò Santino. Peccato che la nottata era andata di male in peggio e sinceramente non era sicuro che sarebbe tornato dal don per riferirgli le brutte notizie di cui era portatore e, in parte, anche fautore.

venerdì, ore 20.00
Il fumo prodotto dalle sigarette e dai sigari delle decine di incalliti bevitori che affollavano il BeerALot pub creava una nebbia grigia e fitta che arrivava quasi ad offuscare la luce dei lampadari in cristallo appesi al soffitto di travi di legno massiccio. Il concitato vociare proveniente dai tavoli da gioco arrivava alle orecchie di Santino peggio di un pugno in un occhio, non era certo paragonabile a quello presente nel bar ufficiale della sua gang di italiani dal sangue dubbiamente puro. Quel locale era troppo chiassoso, e poi era frequentato da soli irlandesi, brutta razza secondo Santino.
La birra scorreva a fiumi e Joseph, il grasso barista, era costantemente impegnato a spinare enormi boccali da litro per la gioia di chi ordinava. Non si andava tanto per il sottile riguardo al bere al BeerALot pub, e se da fuori il locale poteva apparire come una bettola decadente e in attesa di restauro, una volta che si entrava all'interno si era quasi costretti ad ordinare e a continuare a bere, complice la nube di fumo che aleggiava perpetua sopra i tavoli dall'apertura alla chiusura.
Per questo gli affari andavano a gonfie vele, tanto che don Spinelli, capoccia della gang italiana del quartiere e capo di Santino, era deciso più che mai ad assicurarsi una buona tangente da Joseph.
Santino si trovava nel bar proprio per riuscire a convincere il grasso e unto barista a cedere ogni settimana una parte dei guadagni a beneficio dell'organizzazione di cui faceva parte. Una gang non troppo grande, a dir la verità, ma che con duro lavoro e omicidi a tutto spiano era riuscita ad assicurarsi il controllo di tutti i negozi e bar di quella frazione di città, e grazie a questo la cassa non mancava mai di denaro liquido per finanziare la conquista di qualche altra zona a scapito delle bande rivali. Si può dire che la gang di don Spinelli in quel momento fosse la più forte della città, impaziente di fare il balzo finale verso la gloria.
Osservando bene si poteva facilmente intuire che non sarebbe stato semplice conquistare il BeerALot, infatti alle orecchie di Santino era giunta voce che già i giapponesi e i russi, e non sapeva quanti altri, avessero tentato di impadronirsi del locale, però con scarso successo. Si narrava infatti che Joseph avesse un asso nella manica, ma quale fosse, a coloro i quali erano ancora in vita o che semplicemente non fossero irlandesi, non era dato saperlo. Solo i morti ne erano pienamente a conoscenza, peccato che una volta giunti a quello stato si debba tacere per sempre senza possibilità di scelta o di poter tornare indietro.
Nonostante tutte queste voci Santino era tranquillo, se ne stava ormai da due ore seduto in solitaria ad un tavolo il più possibile lontano dal bancone, e segni della leggendaria furia di Joseph non ve n'erano stati. Nessun cliente che facesse più chiasso degli altri o che desse il via a una rissa, cose pressoché normali nel bar ufficiale della gang italiana, per quanto si trattasse in genere di un luogo abbastanza tranquillo dove parlare ad un volume di voce normale non comportava di certo uno sforzo uditivo.
Un'altra cosa che Santino notò fu l'apparente assenza di qualche protettore, si sa come funzionano le cose in un locale che rifiuta di cedere i propri profitti alle grinfie della mafia: si crea un gruppetto di tre o quattro scagnozzi e li si paga per stare al bar per tutto l'orario d'apertura, ogni giorno dell'anno, affinché controllino che niente vada storto. No, sembravano non esserci, anche se sarebbe stato difficile notarli, erano tutti uguali quei dannati irlandesi. Meglio così, niente inutili complicazioni.
Intanto i boccali continuavano a viaggiare tra un tavolo e l'altro e Santino non aveva ancora finito il suo, e si trovava lì da ben due ore. Meglio sbrigarsi a finirlo, almeno per sembrare un appartenente alla marmaglia del BeerALot, anche se i suoi capelli neri e la carnagione olivastra non gli avrebbero donato neanche lontanamente un minimo carattere in comune con una qualsiasi delle persone che si trovava all'interno del bar.
In quel momento l'italiano decise che, finita la birra, si sarebbe alzato e si sarebbe recato al bancone fingendo di voler ordinare ancora da bere, a quel punto avrebbe spiegato la situazione a Joseph.
Tutto liscio, sarebbe andato tutto liscio. Santino contò fino a dieci, poi sollevò l'enorme boccale da litro, pieno ancora per un quarto di ottima birra scura, e lo vuotò con un unico e lungo sorso. Quella birra gli avrebbe dato vigore, quello che si chiama coraggio liquido. Lentamente posò il boccale sul tavolo e si alzò dalla sedia, occupata con apparente disinvoltura fino a quel momento.
Con passo deciso si diresse verso il bancone, Joseph era ancora impegnato a spinare birre su birre. Un volta arrivato al bancone, Santino raccolse tutto il coraggio che aveva e gli chiese: -Quant'è per la birra?-
Joseph non sentì nulla e non si voltò tanto era il vociare che regnava nel bar, ma all'italiano la cosa diede fastidio, non era un tipo molto paziente, anche perché sembrava che il barista l'avesse ignorato di proposito. Non si tratta così un'appartenente alla famiglia di Don Spinelli.
Santino tentò di nuovo, questa volta a voce più alta.
-Quant'è?-
Il grasso barista girò appena il capo continuando diligentemente a fare il proprio lavoro.
-Il conto si paga ai tavoli-, rispose lapidario.
-Non mi interessa-, lo apostrofò Santino, quasi urlando per farsi sentire in mezzo a tutto quel vociare, -voglio che tu mi stia ad ascoltare per un attimo!-
Joseph mollò di colpo la presa dal boccale fermando preventivamente il getto di birra, si girò di scatto e, con espressione notevolmente infastidita, posò gli occhi sul quel patetico ometto in cerca di attenzione. Era veramente uno scricciolo d'uomo, almeno a confronto con Joseph, il quale lo sorpassava in altezza di almeno una ventina di centimetri, per non parlare della differenza di peso che intercorreva tra i due.
Il barista si asciugò le mani sul grembiule unto e sporco e si appoggiò sul bancone sostenendo il proprio peso con le mani, due pale che se avessero incontrato il volto di Santino l'avrebbero di certo segnato a vita; si protese in avanti e si fermò a pochi centimetri dal volto dell'italiano.
-Bene bene bene. Prima che ti prenda a calci nel culo da qui fino in Irlanda, magari fermandomi per vedere se riesco a smarrirti nei pressi delle Bermuda, hai dieci secondi per dirmi perché dovrei stare qui ad ascoltarti.-
Il piccolo mafioso per un attimo si sentì ancora più piccolo e indifeso e deglutì a fatica, solo dopo qualche secondo avvicinò il proprio volto ancora di più a quello del barista, così da riuscire a colloquiare con lui a bassa voce.
-Senti qua, caro irlandese, il mio Don sarebbe interessato a proteggere il tuo locale. Non è un tipo molto paziente, quindi che ne dici se all'ora di chiusura mi versi il venti percento dei tuoi guadagni di oggi e ne riparliamo anche la prossima settimana?-
-E chi sarebbe che vuole offrirmi la sua protezione in cambio di questo furto?-, Joseph decise di stare un po' al gioco.
-Don Spinelli.-
Joseph non riuscì più a reggere il gioco. Solo a sentire quel nome, che gli evocava vecchi ricordi, scoppiò in una grassa risata. Era talmente euforico che non poté fare a meno di urlare: -Don Spinelli hai detto?-
Un improvviso silenzio scese sul locale. Le uniche cose che si potevano ancora udire erano gli sbuffi dei fumatori che, nonostante tutto si fosse bloccato, non avrebbero certo interrotto la propria fumata.
-Esatto... don Spinelli... l'italiano-, Santino si guardò intorno preoccupato, e una piccola goccia di sudore cominciò a rigargli la fronte. Tutti i clienti sembravano ascoltare attentamente quella che era passata in meno di un secondo da conversazione privata a cosa pubblica.
-Be'... adesso facciamo una cosa-, urlò Joseph rivolgendosi all'italiano, -tu ora te ne vai da questo locale, con culo e testa ancora intatti, e riferisci al tuo boss che il BeerALot pub non cederà mai ai ricatti di un patetico idiota siciliano che quando era alle elementari, e le beccava da tutti i compagni di classe, me compreso, correva dalla maestra a farsi smoccolare il naso e a cercare una poppa dalla quale succhiare un po' di latte.-
-Insolente! Chi sei tu per parlare di don Spinelli in questo modo?-
Appena Santino terminò di pronunciare quelle parole, tre irlandesi si alzarono dal tavolo più vicino al bancone e, afferrandolo per braccia e gambe, lo immobilizzarono senza difficoltà. Joseph scoppiò in un'altra grassa risata e dopo pochi secondi si chinò per tirare fuori qualcosa da sotto il bancone. Si rialzò imbracciando una scintillante doppietta, con il manico di legno inciso e che sembrava davvero poca cosa tra le mani dell'enorme irlandese.
-Chi sono, brutto stronzo? Sono un dannato irlandese che ti punta addosso la sua doppietta, e penso che questa situazione mi dia tutto il diritto di parlare di don Piagnetti come cazzo voglio!-
Santino cercò di divincolarsi dalla presa dei tre che lo tenevano bloccato, ma invano.
-Dimmi la verità-, gli chiese Joseph, -non ti aspettavi che anch'io avessi i miei ragazzi eh?!-
-Brutti figli di troia! Lasciatemi andare...-
-Hey hey hey, caro mio, non sei in condizione di dettare ordini. Tenetelo!-, i tre rafforzarono ancora di più la presa su Santino. Uno di questi tirò fuori un coltello a serramanico e fece scorrere la lama a pochi millimetri dalla gola dell'italiano, che stava sudando come se stesse sostenendo una lunga corsa. Non si era mai trovato in una situazione simile, la paura di morire cominciò ad impadronirsi delle sue membra tanto che il suo intero corpo cominciò ad essere preda ad un tremore involontario.
-Dimmi, caro mio, come ti chiami?-
-S... S... Santino-, riuscì a balbettare il mafioso.
-Bene, Santino. Non te l'aspettavi questa mia mossa eh?! Ti presento i Tre Porcellini: Alexavier, Dravin e Jovan. Ragazzi, salutate il nostro caro amico italiano.-
I tre in coro rivolsero un accenno di saluto all'italiano.
-E questa bellezza si chiama Amanda-, affermò Joseph posando lo sguardo sulla sua scintillante doppietta.
-Adesso, caro Santino, analizziamo la tua situazione. Ho tre possibilità: primo, potrei ficcarti un paio di proiettili in quella tua faccia di cazzo, e ti assicuro che il tuo boss non verrebbe mai a saperlo; secondo, potrei lavarmene le mani e lasciarti alle grinfie dei Tre Porcellini...-
-Vi prego, lasciatemi andare-, il coraggio aveva definitivamente abbandonato Santino, che cominciò a piagnucolare pregando i propri aggressori di lasciarlo andare e che niente si sarebbe saputo di quel malcapitato incidente. Sembrava di sentire una vecchia che, inginocchiata al crocefisso, recita la sua tiritera con il rosario in mano. Una litania straziante e insopportabile.
-Non interrompermi quando parlo!-, tuonò Joseph continuando a puntare Amanda contro il corpo del rivale, -dicevo... terzo, potrei lasciarti andare per darti potere di riferire al tuo don di quanto è successo questa sera e anche per dirgli che il mio BeerALot non finirà mai nelle mani di voi cenciosi italiani.-
Santino non la finiva di supplicare i Tre Porcellini, non era mai stato un tipo molto coraggioso, e adesso stava maledicendo il momento in cui aveva accettato quell'incarico con tanto zelo solo per riuscire una buona volta a compiacere il don.
Di colpo Joseph posò Amanda sul bancone e incrociò le braccia, sempre fissando l'italiano dritto negli occhi.
-Dimmi dunque, che ci devo fare con te?-
-Lasciami andare!-, Santino scoppiò in lacrime, non era tipo da fare quel lavoro, ma un guadagno facile solo facendo un po' il balordo per strada e minacciando poveri negozianti indifesi gli era sembrata essere una buona occupazione. Tutta la vita gli stava passando davanti agli occhi, bello schifo di spettacolo.
-Sicuro delle tue parole?-, disse Joseph abbozzando un sorriso.
-Sì! Sì! Lasciami andare!-
-Per poi farti spifferare tutto a Piagnetti? Come pensi che la prenderà il tuo boss una simile notizia?-
-Non lo so, non lo so, ma lo avvertirò di pensarci due volte prima di riprovare ad acquisire il tuo locale...-
-Così poi mi troverò qui tutta la tua dannata gang?-, passò lo sguardo sui Tre Porcellini, -voi che ne dite ragazzi?-
I tre cominciarono a ridacchiare e uno di loro sbottò dicendo, -ma sì, Joseph, lascialo andare. Se mai torneranno sarà un onore occuparsi anche di loro.-
Quanto amava i suoi ragazzi, pensò il barista, sarebbero stati pronti a morire per il pub. In fin dei conti era vero, sarebbe stato uno spettacolo a cui non avrebbe mai rinunciato a prendere parte. E poi lui aveva un asso nella manica, e non l'aveva ancora mostrato. Meglio tenere le sorprese per la resa dei conti se mai ci sarebbe stata.
-Va bene... lasciatelo andare!-
I tre porcellini mollarono la presa e Santino si trovò a cadere in ginocchio sbattendo sul pavimento di legno, mentre un rigagnolo di piscio andava a bagnare i pantaloni bianchi che indossava.
-Sei avvertito però, caro Santino, devi riferire a Piagnetti tutti i particolari di questa serata.-
Santino si alzò lentamente, riacquistando le forze e asciugandosi le lacrime. I Tre Porcellini si allontanarono da lui, sfottendolo per il fatto che si fosse pisciato addosso come una donnicciola e ridacchiando come tre sadici ragazzini consci di aver fatto una burla a un proprio coetaneo incapace di difendersi.
L'italiano cominciò a dirigersi a passo lento verso l'uscita del pub. Una volta arrivato alla porta si girò verso Joseph.
-Contaci... racconterò tutto...-, Santino uscì da locale con passo tremante e facendo attenzione a non sbattere la porta.
-Bravo ragazzo...- disse a bassa voce il grasso e unto barista.

 

To be Continued…

 

E.


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