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Coazione a ripetere

Creato il 02 settembre 2012 da Pinomario

Ricordo che nel periodo in cui vivevo in Friuli, a Udine, per diversi giorni, un gatto, tutte le volte che aprivo il cancello di casa, tentava di intrufolarsi nel cortile. E, anche se io lo respingevo, il giorno dopo si ripresentava puntuale a ripetere l’operazione. Confesso anche - e qui faccio ammenda, prevedendo le ire degli animalisti! - che finii per respingerlo malamente. E soltanto dopo alcuni di quei “trattamenti” non lo vidi più. Fui indotto anche a chiedermi – da “giovane” filosofo e… a tempo perso - cosa potesse spingerlo a rimanere in quella spiacevole situazione. Un difetto di memoria di ciò che gli accadeva tutte le volte? Una “versione” animale della “coazione a ripetere”, che, secondo la psicanalisi, consiste nel replicare ossessivamente comportamenti e azioni anche quando sono dolorosi? O forse l’ebbrezza del rischio tipica dei “giovani” viventi? Cosa allora? La stupidità? Che consiste nell’incapacità di connettere anche i dati “ovvi” dell’esperienza. Ma che, però, sembra più una caratteristica “umana” che animale! Oppure la “presuntuosa” sicurezza che quella fosse l’unica “strada” per lui? Ma, anche questa sembrerebbe più una caratteristica di quegli umani che considerano le loro esperienze e le loro conoscenze acquisite come verità indiscutibili! Che non riescono a immaginare punti di vista diversi nel guardare ai problemi. O che pensano che una strada, una volta tracciata, debba essere inderogabilmente seguita. Appunto, la “coerenza” del gatto! Ovviamente, non sono riuscito a trovare la risposta ai miei interrogativi sul comportamento del gatto, ma quella vicenda mi pare utile per mettere a nudo le incongruenze del comportamento di individui, ma anche di istituzioni o organizzazioni, in alcune fasi critiche della vita e della storia. Per analogia può aiutare a rendere evidente l’enorme quantità di approcci inerziali e improduttivi di fronte a problemi nuovi, da parte di chi sarebbe deputato a risolverli. Può spingere a chiederci perché istituzioni, gruppi, organizzazioni o individui  riescono sempre a infilarsi in vicoli ciechi, quando servirebbero creatività e immaginazione.  Può illustrare l’incapacità di trovare risposte ai nuovi problemi, causata dalla tendenza a non mettere in discussione i parametri consueti, i punti di vista abituali e i modelli accettati. Oggi forse ci troviamo proprio in una situazione del genere, con tutto il senso di impotenza e disorientamento che ciò produce. Una situazione che riguarda sia i modelli economici, sia le forme della politica, sia le chiese, sia le istituzioni educative e culturali , come pure le modalità della comunicazione e della vita sociale. Anche oggi capita che si diventi incapaci –  è già accaduto, all’inizio della modernità occidentale, qualcosa di analogo – di riconoscere e rispondere a bisogni, a linguaggi nuovi, a diverse modalità del desiderio, a logiche impreviste del comportamento umano, a nuovi paradigmi di vita e di pensiero. Anche oggi appare difficile, per molti, rendersi conto che, nei momenti cruciali della vita e della storia, è possibile risolvere i problemi solo se si modifica “il modo di guardarli”, se si cambia il “punto di osservazione”. Trovare risposte richiede, talora, di cambiare i modelli di riferimento e il modo di formulare le domande! Si sa che, all’inizio della modernità occidentale, solo un “colpo d’ala” rese possibile escogitare, negli ambiti più diversi, soluzioni nuove e far nascere un nuovo tipo di civiltà. Anche oggi stanno emergendo “nuove forme di autorappresentazione individuale e collettiva, di esercizio del potere, di guerra, di relazioni familiari, di mobilità sociale, di creazione della ricchezza, di appartenenza religiosa, di rapporto con la natura, di comunicazione culturale” (M. Firpo). Ma c’è qualcuno in grado di accorgersene, di “pensare” diversamente  e di inventare strade nuove? C’è qualcuno in grado di evitare di dare vecchie risposte a domande che non sono più le stesse? Certo, avremmo bisogno di altra classe dirigente, ma anche di altra educazione, altra cultura, altra mentalità, altra spiritualità, altra economia, altra politica! È proprio vero, oggi “occorrono una saggezza e un autocontrollo straordinari per accettare che molte cose abbiano una logica che noi non comprendiamo e che è più intelligente della nostra”(Nassim  Taleb). Ma dobbiamo proprio disperare di essere all’altezza dei tempi nostri?

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