latte e mandorle
Anche le parole, come i cocci di vasellame di altre epoche e civiltà, possono essere attaccate dal tempo, fratturarsi, diventare frammenti di oggetti che a stento talvolta ci consentono di ricostruire l’oggetto intero di cui esse sono l’ultima testimonianza. Ci arrivano all’improvviso, dalla notte lunga dei tempi, quasi senza che ce ne accorgiamo. Ma non hanno più il significato di prima, il loro senso è mutato e anche la civiltà di cui facevano parte, è scomparsa e stenta ad essere ricostruita.
Me ne sono accorto una di queste mattine, mentre di buonora mi rigiravo nel letto con in testa un’espressione dialettale di parecchi decenni fa. “A calureddu di latti”. Un modo di dire che ricorreva in famiglia e di cui faceva largo uso mia madre. Si riferiva alla temperatura media del latte appena munto dalle vacche, che passavano la mattina davanti alle porte delle case, perché gli allevatori, spesso poveri, potessero vendere il latte fresco alle varie famiglie, specie se avevano bambini. Ecco, la temperatura di questo latte appena uscito dalle mammelle delle vacche era lo standard utile a indicare vari altri generi di bevande. Un tepore piacevole, insomma. L’espressione “calureddu” denotava, poi, un’altra raffinatezza linguistica. La parola era il diminuitivo del sostantivo “caluri”, un concetto molto diverso dal più intenso e ricco di affettività, di “calureddu”: un calore tenue e piacevole, che rendeva il latte fresco una prelibatezza.
Ora, per fortuna, di vacche per le strade non ne circolano più; le vacche se ne stanno negli impianti zootecnici, e passano qui il loro tempo, a dfferenza di quelle siciliane che praticano il pascolo brado, e producono un latte veramente buono. Con le vacche e le pecore sono scomparsi quindi i mandriani, i vaccari, i guardiani. Il produttore conferisce il latte alle imprese commerciali e di lavorazione. E tutto finisce qua. Civiltà scomparsa. E noi ringraziamo sempre Iddio per questa evoluzione. Ma con loro sono anche scomparse quelle relazioni familiari e sociali, che davano un’affettività diversa alla cose. E non poteva andare diversamente.
Giuseppe Casarrubea