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Dico subito che mi limito a spiegare come stiano le cose, e cerco di farlo con delicatezza, ma senza venir meno al dovere di essere schietto, cercando di evitare sia eufemismi che crudezze. In ogni caso evito di dare consigli sul da farsi, anche quando mi vengono richiesti con l’evidente fine di avere avallo ad una scelta che intimamente è già presa, qualunque essa sia. Così quando tale scelta mi è comunicata: qualunque essa sia, mi astengo da ogni osservazione che possa anche lontanamente aver forma di approvazione o di biasimo. Nei panni di chi ho davanti so quale sarebbe la decisione che prenderei io, ma ritengo che in situazioni del genere ciascuno abbia il diritto e il dovere di arrivare ad una scelta libera da condizionamenti esterni alla propria sfera di opinioni e sentimenti. Nei panni di chi ho davanti la mia decisione sarebbe uguale a quella consigliata da Richard Dawkins, qui non ho alcuna difficoltà ad ammetterlo, ma dirlo ad una donna che in utero ha un feto gravemente malformato assumerebbe un altro significato.
Mi rendo conto di aver anticipato la risposta saltando la premessa con la quale avevo intenzione di spiegare quale sia la differenza tra esprimersi in favore della scelta eugenetica, che è quanto Richard Dawkins ha fatto col suo tweet, e consigliarla ad una donna che in utero ha un feto gravemente malformato, che è quanto invece non ha fatto. A chi è contrario che nel caso di specie sia data libertà di scelta torna comodo far credere che l’opzione dell’interruzione di gravidanza voglia essere imposta da chi in realtà si limita ad ammetterla, e così è stato nel caso specifico che qui trattiamo, dove l’insinuazione è parsa tanto più agevole per l’uso del termine «immorale» al quale Richard Dawkins è ricorso: in pratica, si è inteso dare alla sua «morale» il carattere cogente che invece è il tratto distintivo di quella che nega la libertà di scelta.
Basta aver letto Il gene egoista per dare il giusto senso a ciò che nel suo tweet Richard Dakwins ha definito «immorale»: sta per «contrario al buonsenso». Un buonsenso, occorre dire, che da qualche tempo trova sempre maggiore coincidenza nel senso comune, come dimostra il sempre più frequente ricorso alla diagnostica prenatale. Una «morale», dunque, quella di Richard Dawkins, che, lungi dall’essere il dettato di una norma trascendente, si limita ad esprimere la ratio che possa governare al meglio l’immanente. Sgradevole quanto si voglia a chi ne abbia una diversa, è una «morale» che esprime l’ormai consolidata opinione che tra ovocellula fecondata, morula, blastocisti, embrione, feto e uomo ci siano differenze significative, e che siano proprio queste a dar contro del processo che dalla materia biologica porta alla persona, quando accade e se accade.
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