I Code, fondati nel 2002 da Aort (Andy McIvor) e Kvohst (quello oggi di Hexvessel e Beastmilk), erano una band anglo-norvegese. Ora, dopo i soliti casini, Aort ha rifondato il gruppo: Augur Nox è il primo album del nuovo corso, “inglese” e basta. Il chitarrista prende sempre le mosse da tutto il giro avant-black, tant’è vero che il nuovo cantante che ha preso ricorda Simen Hestnæs (il quale stava appunto per diventare vocalist dei Code), anche se non parliamo proprio di un clone: alla fin fine Wacian è davvero adatto al genere, perché molto versatile, sa essere aggressivo e sa al contempo ricreare la stessa grandeur teatrale degli Arcturus de La Masquerade Infernale. Grazie a lui i Code sono liberi di fare quello che vogliono: correre come treni (favolosa “Black Rumination”, da sola s’è comprata mezza recensione) oppure rallentare e dare spazio alla melodia, tra l’altro senza ricorrere a tastiere o campionamenti, ma cercando di fare lo stesso miracolo di tutti gli altri, cioè contaminare il black con thrash o death e iniettargli dosi prog evitando di ucciderlo, quindi senza che nessuno si addormenti a guardare i chitarristi o senza che scappi la mano sul versante commerciale, vedi alla voce Dimmu Borgir (a proposito di band con Hestnæs alla voce e a proposito di band che ai Code avrebbero dovuto rubare qualche idea). I brani di Augur Nox, alla fin fine, sono valido intrattenimento a opera di chi conosce bene ciò che suona, anche se il taglio di un pezzo (o due) avrebbe alzato la media qualitativa e avrebbe fatto arrivare tutti meno stanchi. I Code, insomma, non superano chissà quali barriere (raggiunte da altri ormai quindici-venti anni fa), né hanno la sana follia di certe band alle quali potremmo associarli, né ancora possiedono la vastità di un Ihsahn, però a fine ascolto la sensazione è indiscutibilmente positiva.
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