In realtà lui sapeva che ci sarebbe stato un momento ancora peggiore di quello: quando gli inservienti del camposanto avrebbero cominciato a gettare la terra per riempire la fossa.
Partiamo dando a Cesare quel che è di Cesare: l’anteprima gratuita di Codice infranto (Dunwich Edizioni) mi ha fatto venire voglia di leggere tutto il libro e potrebbe persino darsi che mi decida a comprarlo, complice il prezzo onesto della versione ebook (si parla di 2,49 euro, contro libri che anche in digitale costano i 15 euro del cartaceo medio).
La narrazione si mantiene mediamente interessante per tutta la prima scena, nonostante si parli di un funerale e, quindi, siano quasi inevitabili i momenti ricchi di pathos in cui il narratore sottolinea il dolore, quanto dolore, che indicibile dolore provino gli astanti e sopra a tutti i genitori del morto. In un certo qual modo, Valenza riesce perfino a far sì che il suo protagonista, il commissario Luigi Armentano, abbia una prospettiva originale nella sua contemplazione di questa triste occorrenza. Ad esempio, Luigi sente di poter comprendere i genitori della vittima, Filippo, perché lui in passato ha perso il padre ed egli stesso ammette di non saper comprendere come due esperienze simili, che differiscono alla base per il tipo di rapporto che si ha con il defunto, possano essere paragonabili. Il narratore riesce poi a sottolineare, senza cadere in eccessi, il senso di sottile imbarazzo e fastidio tipico del trovarsi ad un funerale cui bisogna presenziare.
Fabrizio Valenza, dalla sua pagina su Wikipedia. Credits allo stesso Valenza
Ciò per cui ho particolarmente apprezzato l’anteprima di Codice Infranto, poi, è la scelta del narratore di ricorrere ad un flashback visivo degli eventi cui il commissario ripensa, senza limitarsi a raccontare freddamente gli eventi passati come mi sarei invece aspettata. Vale a dire, che nel momento in cui Luigi si immerge nelle immagini ancora vivide di quando era stato ritrovato il corpo del giovane, il paragrafo cambia ed il lettore è condotto effettivamente in macchina con il commissario fino al ritrovamento nel bosco del corpo di Filippo. Inoltre, l’autore sceglie saggiamente quando usare il raccontato e gestisce bene il punto di vista del suo personaggio. Per chiarirci, la dinamica dell’incidente e della fuga di Filippo, che gli agenti di polizia hanno ricostruito in base alle testimonianze ma cui non hanno effettivamente presenziato, è appunto solo spiegata e il lettore non si trova a vivere l’incidente appollaiato sopra la spalla di Filippo.
Certo non mancano alcune note dolenti; ad esempio, il fatto che i personaggi siano tutti chiamati per nome e cognome, cosa che sembra essere tipica del narrare italiano e che forse nelle intenzioni degli scrittori dovrebbe apportare solennità e realismo alla storia, mentre ha il solo effetto di farmi girare i metaforici gingilli. Raramente nella vita reale ci si rivolge a qualcuno con nome e cognome, specie nei propri pensieri.
Se quello appena sopra è ovviamente un appunto basato in gran parte su gusti personali e perfino in qualche modo scherzoso, ci sono altri aspetti su cui sento di dover dire qualcosa. In particolare, alcuni passaggi della scrittura di Valenza mi sono risultati poco chiari. Ci sono casi, i più gravi, in cui non ho proprio capito cosa l’autore intendesse dire. Un esempio, quando Luigi pensa ai genitori del ragazzo defunto, mentre cerca di evitarli nella folla del funerale:
Se li immaginò nella loro normale compostezza, capaci di mostrare ordine anche in un momento di Armageddon come quello. Due corpi abbandonati al dolore in un quadro di autocontrollo.
In altri casi ho intuito quale fosse il senso della frase, ma l’accostamento inusuale dei termini mi ha distratta e turbata quel tanto che basta per allontanarmi dal mondo in cui mi ero immersa. Un esempio, quando il commissario si reca a portare le proprie condoglianze ai genitori di cui prima:
I due si appoggiarono a lui un’ultima volta prima che accadesse il fatto più laconico, inevitabile e tremendo delle loro vite: vedere la cassa di Filippo, del loro bambino, venir portata via, verso il cimitero.
Storia di Geshwa Olers – il viaggio nel Masso Verde, ovvero il romanzo fantasy con cui Valenza ha esordito nel 2008. Sono curiosa
Laconico non è decisamente un aggettivo che si possa attribuire ad un fatto. Capisco che alcuni possano intenderlo come un uso poetico della lingua italiana, ma sono del parere che simili espedienti siano da usarsi molto raramente, in un romanzo di genere in cui, come ho detto, si richiede l’immedesimazione del lettore.
E se pure quanto appena elencato si sarebbe beccato dei bei segnacci rossi dalla mia matitona, ribadisco che si tratta di alcuni passaggi isolati e, nel complesso, la trama e lo stile di scrittura potrebbero portare gli occhiacci cattivi di Madame a proseguire per tutte le 148 pagine del volume.
Caro signor Valenza, mi sa che mi hai acchiappata.
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Madame Freida