«È il contratto ordinario a tempo indeterminato, ridisciplinato. Il fulcro centrale di una vera riforma del mercato del lavoro sta qui, nel voltar pagina, dopo mezzo secolo, rispetto al regime dijob property. L’emendamento serve anche a eliminare una contraddizione, perché l’attuale testo parla di uno sfrondamento dei contratti esistenti, allude a una riduzione, ma poi aggiunge un nuovo tipo di contratto».
E di conseguenza, in pratica l’articolo 18, come lo conosciamo, per i nuovi contratti non si applicherà più. Ma se invece fosse un contratto aggiuntivo?
«Se il contratto a protezione crescenti si aggiunge al contratto ordinario a tempo indeterminato, non c’è la riforma annunciata del mercato del lavoro, ma solo un ennesimo intervento “al margine”, come ne abbiamo fatti tanti negli ultimi vent’anni, proprio per non toccare il contratto a tempo indeterminato. Col solo risultato di comprimere l’area del tempo indeterminato ed allargare quella del lavoro a termine. In contrasto anche con la direttiva europea 70/99, che dice che il contratto a tempo indeterminato dev’essere la norma e non l’eccezione. Ma oggi su 100 nuove assunzioni in Italia solo 16 sono a tempo indeterminato, 68 sono a termine e altre 15 in forme ulteriori variamente precarie. Insomma, dopo il decreto Poletti, se vogliamo dare competitività nuova al tempo indeterminato non possiamo non intervenire proprio qui. Il mio emendamento, del resto, lascia al Governo una amplissima discrezionalità nella scelta tra i possibili modelli di contratto “a protezione crescente”, tra il modello Boeri-Garibaldi, che flessibilizza solo il primo triennio, e il modello proposto da me, che lascia la flessibilità anche dopo il primo triennio coniugandola con misure per dare maggiore sicurezza economica e professionale al lavoratore nel mercato. Il ministro del Lavoro è uomo del Pd: sarà lui a interpretare la delega; il Pd non ha motivo di opporsi».
E se la sua proposta non passasse?
«Sarebbe il venir meno dell’Italia a uno degli impegni presi e ribaditi, anche di recente, dal presidente del Consiglio nei confronti dei suoi interlocutori a Bruxelles. L’Italia perderà il potere negoziale che ha acquisito negli ultimi mesi in Europa; e sarà molto più difficile ottenere la flessibilità sui conti che ci serve».